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Ulisse e l’arte di vincere con le parole
L'uso sapiente del linguaggio è la maggiore abilità di Ulisse. L'esposizione e il modo di argomentare con cui si rivolge a Nausicaa sono un primo esempio nell'Odissea di comunicazione persuasiva, tuttora determinanti quando si vuole convincere con le parole.
Ci sono storie eterne, senza tempo che, riflettendo l’identità dei popoli antichi, restituiscono lezioni di vita privata e professionale quanto mai attuali: rileggere i racconti epici è sempre occasione di nuove scoperte e ispirazione. In essi ritroviamo il significato delle parole, l’origine dei modi di dire, le analogie con le attività quotidiane.
Parola di Ulisse
“Le parole uscivano dalla bocca dello straniero come da una cascata; sapeva raccontare, sapeva alternare i silenzi con le parole e la sua voce era bellissima.” – Giulio Guidorizzi, Ulisse, ultimo degli eroi
Ha sete di conoscenza, è astuto e intelligente, il migliore degli oratori, scelto da Agamennone per convincere Achille a riprendere le armi e condannato da Dante tra i consiglieri fraudolenti dell’Inferno. Reo di aver ordito inganni con un’acutezza spregiudicata, Ulisse è tra i più abili persuasori dell’antico mondo ellenico. Con il suo personaggio la parola diventa più determinante delle azioni; al suo uso del linguaggio va riconosciuto un merito a cui potrebbe ambire qualunque discorso che deve convincere.
Le parole rivolte a Nausicaa, ad esempio, sono uno strumento magistrale di seduzione e persuasione: Ulisse guadagna la totale approvazione della ragazza, che accetta senza remore la preghiera di uno straniero e ne accoglie le richieste.
Discorsi che restano
Inizia con una captatio benevolentiae, prosegue con il racconto delle sue vicende e termina con la richiesta di aiuto seguita dal migliore augurio possibile per la giovane donna: la costruzione del discorso di Ulisse ha una logica precisa, da cui dipende il successo della sua comunicazione.
Argomentazioni inappuntabili danno vita a una supplica basata interamente sull’uso delle parole.
“Io mi t’inchino, signora: sei dea o sei mortale?
Se dea tu sei, di quelli che il cielo vasto possiedono,
Artemide, certo, la figlia del massimo Zeus,
per bellezza e grandezza e figura mi sembri.
Ma se tu sei mortale, di quelli che vivono in terra,
tre volte beati il padre e la madre sovrana,
tre volte beati i fratelli: perché sempre il cuore
s’intenerisce loro di gioia, in grazia di te,
quando contemplano un tal boccio muovere a danza.
Ma soprattutto beatissimo in cuore, senza confronto,
chi, soverchiando coi doni, ti porterà a casa sua.
Mai cosa simile ho veduto con gli occhi,
né uomo, né donna: e riverenza a guardarti mi vince.”
Ulisse apre con un dilemma: finge di non sapere se dinanzi a sé ha una dea o una mortale. In questo caso, il dubbio dà solide basi alla credibilità di ciò che sarà detto; inoltre, anteponendo la prima ipotesi nel discorso, chi parla suggerisce intrinsecamente di propendere per essa. La condizione è favorevole per predisporre il destinatario all’ascolto e porsi sul suo stesso piano durante la comunicazione.
Incalzano le lusinghe, in questo caso, strumento fondamentale per sedurre e generare empatia. Lo stato d’animo della giovane donna è ben compreso da chi parla: le lodi solleticano i suoi sogni e le sue aspirazioni, suscitando in lei il dubbio che lo straniero possa essere il suo futuro sposo, mandato dagli dei sotto false spoglie.
“In Delo una volta, così, presso l’ara d’Apollo,
vidi levarsi un fusto nuovo di palma:
sì, giunsi anche là; e mi seguiva innumerevole esercito,
via in cui m’era destino aver tristi pene.
Così, ammirandolo, fui vinto dal fascino
a lungo, perché mai crebbe tale pianta da terra,
come te, donna, ammiro, e sono incantato
e ho paura tremenda ad abbracciarti i ginocchi: ma duro strazio m’accora.”
Il paragone tra Nausicaa e il germoglio di palma ribadisce la bellezza della giovane donna e, allo stesso tempo, serve a presentare se stesso con l’importanza necessaria a creare fiducia; la lode, infatti, è inserita in una prima narrazione di sé. I risultati sono molteplici: oltre al dubbio che chi parla sia autorevole, un re ad esempio, si fa più credibile l’ipotesi che egli possa essere il suo sposo, crescono curiosità e interesse nel continuare ad ascoltare.
Poi, c’è il cambio di registro: al termine delle lusinghe, inizia il racconto delle sventure. L’attenzione resta viva; con la narrazione di una storia avvincente entrano in gioco le reazioni del corpo che, involontariamente, rendono il destinatario più vulnerabile dinanzi alla capacità di chi parla di interpretare anche il suo linguaggio dei gesti.
“Ieri scampai dopo venti giornate dal livido mare:
fin qui l’onda sempre m’ha spinto e le procelle rapaci,
dall’isola Ogigia; e qui m’ha gettato ora un dio,
certo perché soffra ancora dolori: non credo
che finiranno, ma molti ancora vorranno darmene i numi.
Ma tu, signora, abbi pietà: dopo molto soffrire,
a te per prima mi prostro, nessuno conosco degli altri uomini,
che hanno questa città e questa terra.
La rocca insegnami e dammi un cencio da mettermi
addosso, se avevi un cencio da avvolgere i panni, venendo.”
Infine, la leva vincente è la pietà: il fatto di aver accolto lo straniero suggerisce da subito a chi parla l’importanza che questo sentimento ha per il destinatario. Quindi, dopo averne conquistato la fiducia, le rivolge parole compassionevoli prima di arrivare al suo scopo, la richiesta di essere rifocillato, ovviamente accolta con successo.
Con la vicenda di Nausicaa la narrazione nell’Odissea passa dal semplice sviluppo dell’episodio a un’evoluzione del racconto basata sulla psicologia del personaggio; in Nausicaa si riscontra il contrasto tra fanciulla e donna, tra innocenza, saggezza e buon senso. Il linguaggio di Ulisse dipende dall’interiorità della giovane: le giuste parole stimolano in lei sentimenti che le suggeriscono una precisa immagine nella mente, designata da chi parla.
Dare credibilità alle proprie argomentazioni, comprendere lo stato d’animo di chi ci ascolta, generare empatia, risultare autorevole, guadagnare la fiducia dell’altro: così si vince ancora con le parole.
Punti di vista