Quando la soddisfazione non basta
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Quando la soddisfazione non basta

Oltre l’80% dei clienti che passa alla concorrenza si dichiara soddisfatto del fornitore precedente. Perché allora decidono di cambiare? E cosa fare per impedirlo?

Tutte le aziende sono pronte ad affermare di porre la soddisfazione dei clienti in cima ai propri obiettivi. La maggior parte di quelle che perseguono davvero questo proposito ritengono che soddisfare il pubblico di riferimento sia la strada migliore per generare fidelizzazione. È un giusto modo di ragionare, tuttavia va precisato che la soddisfazione è condizione solo necessaria per ottenere la fedeltà dei clienti, ma non sufficiente.

Secondo uno studio condotto da Kristine Kirby Webster, esperta di direct marketing specializzata in branding e marketing relazionale, l’80% dei clienti che passa alla concorrenza, in tutti i settori, esprime soddisfazione nei confronti del fornitore precedente fino al momento prima di cambiare. Allo stesso risultato (86%) è giunto Frederick Reichheld, autore del libro The loyalty effect e sviluppatore del Net Promoter Score (NPS).

In linea con i risultati di queste ricerche sono le opinioni di Timothy Keiningham e Terry Varva che, nel libro The customer delight principle: exceeding customer’s expectations for bottom-line success, sottolineano come soddisfare semplicemente i clienti non basti per costruire la fedeltà, men che meno per trasformarli in advocates, cioè persone disposte a sostenere, promuovere e raccomandare l’azienda, veri e propri sponsor e ambasciatori del brand o dell’impresa.

Ma cosa spinge un cliente soddisfatto a scegliere un’azienda concorrente? Essenzialmente il fatto di non avere un motivo speciale per rimanere con quella precedente, qualcosa per cui sentirsi entusiasta e felice.

Molti sono convinti che offrire prodotti e servizi di qualità al giusto prezzo, con professionalità, cortesia e nel rispetto dei tempi sia un fattore distintivo, ma non è così. Ogni volta che una prassi o un comportamento adottati da una certa organizzazione hanno successo, infatti, diventano best practice per l’intero settore. Così, con il passare del tempo, dallo stato iniziale di entusiasmo e felicità si ritorna alla semplice soddisfazione, perché il cliente si aspetta determinate caratteristiche come parte dello standard minimo da offrire. Ed ecco che è sufficiente ricevere un’offerta accattivante quanto basta a voler provare qualcosa di nuovo oppure essere influenzati da un amico o conoscente per passare alla concorrenza.

In tanti altri casi le aziende perdono clienti perché smettono di comunicare con loro e, allentando o interrompendo i contatti, li espongono facilmente alle iniziative di acquisizione da parte dei competitor. Sempre legato ai problemi di comunicazione c’è anche un altro aspetto che incide sul grado di defezione: spesso i clienti conoscono solo una minima parte dell’offerta di un’azienda e quindi, se hanno bisogni diversi, si rivolgono ad altri in grado di appagarli.

In tutte queste situazioni è chiaro come la soddisfazione non venga messa in discussione, però manca un quid in grado di sorprendere il cliente e di superare le sue aspettative, qualcosa che possa fare davvero la differenza. Bisogna offrire alle persone un motivo per essere felici: è questo il modo per trasformare la soddisfazione prima in lieve stupore, poi in fedeltà e infine in volontà di essere paladini dell’azienda o della marca.

La capacità di innovare è un fattore cruciale poiché consente al brand di affermarsi sul mercato in una posizione di rilevanza difficilmente attaccabile dai concorrenti. A un maggiore livello di innovazione corrispondono migliori possibilità di distinguersi e di difendersi dai tentativi di imitazione che, in quasi tutti i campi, è inevitabile. Per questo le imprese che vogliono farsi percepire come innovative devono impegnarsi a tenere costantemente aggiornata la propria offerta sul piano dell’originalità e dell’avanguardia, altrimenti la reputazione rischia di risentirne con la conseguente perdita di quote di mercato.

Un altro aspetto importante è la personalizzazione: rendere unica l’esperienza di ogni singolo cliente attraverso prodotti e servizi concepiti sulla base delle sue reali esigenze che lo facciano sentire preso in considerazione, speciale. Dove possibile, coinvolgere il pubblico nei processi decisionali, renderlo protagonista facendolo partecipare al processo produttivo, accettare i suoi suggerimenti volti a migliorare l’offerta.

Rendere felici i clienti significa guardare oltre la singola transazione e considerare l’intero ciclo di vita dei consumatori, il che vuol dire costruire con loro un rapporto basato sulla fiducia, sull’onestà e il rispetto. Per moltissime persone, infatti, valori simili contano più del risparmio, e per questo scelgono di avere a che fare con aziende che dimostrano di condividerli.

La relazione, poi, va mantenuta nel tempo attraverso contatti ripetuti che facciano sentire i clienti al centro dell’attenzione, importanti per l’azienda indipendentemente dai volumi d’acquisto. A volte basta veramente poco per farlo: una telefonata, un’e-mail, un biglietto d’auguri, un omaggio inaspettato.

Infine, non si può prescindere dal cercare di comprendere costantemente i desideri, i bisogni e le aspettative dei clienti esistenti e di quelli potenziali, soprattutto per identificare i fattori relativi all’esperienza che ritengono di particolare importanza, ma per cui il tasso di soddisfazione è ancora basso. I feedback si possono ottenere in vari modi: interviste, sondaggi, indagini di mercato, ecc.; la cosa importante è non essere autoreferenziali perché, se ci si concentra sulle proprie necessità invece che su quelle dei clienti, non si otterranno dati utili per migliorare.

 

Concludo con una domanda che tutte le aziende dovrebbero porsi ogni volta che affrontano il tema della soddisfazione dei clienti:

“Qual è la tua fantastica sorpresa?” – Seth Godin

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