Investire sul branding e sull’innovazione di valore, sostituendo la lotta per la sopravvivenza con la creazione di nuovi spazi di mercato in cui non c’è bisogno di competere.

Quando battere la concorrenza non porta al successo
Etica, cooperazione e consapevolezza: i punti chiave per costruire un contesto lavorativo in cui possano coesistere progresso, sostenibilità e profitto.
Competizione
È questo il motore che muove il mercato. Secondo questa logica, conquistare il primato nel proprio settore a discapito dei concorrenti è il solo modo per ottenere il successo. Pochi sono in grado di sottrarsi a questa regola o di applicarla con profitto:
- le imprese capaci di innovare, che riescono a definire nuovi mercati;
- i grossi brand, che possono condizionare i mercati esistenti;
- le aziende di nicchia, che operano in ambiti nei quali la domanda supera l’offerta.
Tutti gli altri sono costretti a rivaleggiare per assicurarsi la preferenza dei clienti, usando spesso il prezzo di vendita come unica leva commerciale. Chi invece decide di puntare sulla qualità dei prodotti e servizi, che prospettiva ha in un simile contesto? È il caso di tutte quelle imprese di piccole e medie dimensioni che lavorano in mercati molto agguerriti e che, per la natura della propria offerta, non possono ricorrere né all’innovazione né al prezzo per competere.
L’approccio competitivo prevede che si debbano sfruttare i punti di debolezza degli altri a proprio vantaggio: se siamo migliori dei concorrenti, se riusciamo a batterli, possiamo impadronirci della nostra fetta di mercato. In teoria è un discorso che non fa una piega, in pratica non funziona sempre così.
Ho già affrontato il tema della competizione fra le imprese in un precedente articolo, dal titolo Meglio essere gli unici che i migliori, in cui il mio punto di vista è che la competizione, soprattutto per le aziende che non rientrano nelle tre categorie citate all’inizio, porta a un indebolimento del mercato e a un peggioramento dell’offerta.
In questo articolo voglio proseguire sull’argomento, ponendo il focus su un modo diverso di concepire il rapporto con chi fa il nostro stesso lavoro rispetto alla visione competitiva.
Bisogna aver paura dei competitor?
La risposta a questa domanda non è per nulla banale. Ancor meno lo è il motivo per cui bisognerebbe averne, specie nel caso delle piccole e medie imprese che investono sul valore della propria offerta per emergere nel mercato. Vediamo perché.
In questo scenario, seguendo la concezione della competizione, la maniera migliore di prevalere è dimostrare ai clienti che la qualità dei nostri prodotti e servizi è superiore in confronto a quella delle aziende rivali, offrendo, così, un valido motivo per essere preferiti. Il primo problema da risolvere è dare prova oggettiva della qualità, un parametro che non può essere misurato in modo assoluto come avviene nel caso del prezzo. Il secondo problema è marcare le differenze rispetto ai concorrenti, approfittando delle loro debolezze per avvalorare la nostra offerta. In tutti e due i casi, si può agire osservando una condotta più o meno etica, arrivando, nella situazione peggiore, a imbrogliare sulla qualità e a screditare i competitor. Otteniamo il successo se alla fine viene fuori che tutti loro lavorano peggio di noi, che sono meno bravi: in questo modo li avremo battuti, saremo i migliori.
Ora, chi ragiona in base a questa logica potrebbe ritenersi al sicuro, pensando di non dover temere la concorrenza, ma si tratta di un falso positivo perché, in simili condizioni, il mercato che si tenta di occupare risulta fortemente condizionato, o per meglio dire rovinato, dalla bassa qualità.
In altre parole, anche se siamo i migliori a offrire un certo tipo di prodotto o servizio, il livellamento verso il basso dell’offerta ci taglierà fuori dal mercato, perché la percezione che i clienti avranno riguardo a ciò di cui hanno bisogno non corrisponderà alla nostra proposta e quindi non saranno capaci di dargli il giusto valore.
Questo aspetto comporta anche un altro effetto negativo: in un mercato di bassa qualità aumentano il grado di insoddisfazione dei clienti e la sfiducia nei confronti degli operatori di settore. La conseguenza è che si riducono le possibilità di vendita anche per chi lavora bene, in quanto subirà per assimilazione la stessa sorte.
Essere i migliori in un mercato che non esiste è inutile.
Dunque, tornando alla domanda iniziale, bisogna aver paura dei competitor? Se il valore dell’offerta è il nostro punto di forza, non è tanto la concorrenza in sé a doverci spaventare quanto il suo livello qualitativo: più basso sarà, minori saranno le nostre opportunità. In contrapposizione alla visione competitiva del lavoro, non acquisiremo alcun vantaggio sfruttando questo punto di debolezza, ma dovremo trovare strade alternative per la riuscita del nostro business.
Creare il giusto contesto
“Adam Smith ha detto che il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé, giusto? Incompleto. Incompleto! Perché il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo farà ciò che è meglio per sé, e per il gruppo! Dinamiche dominanti, signori. Dinamiche dominanti!” – John Nash (Russel Crowe) in A beautiful mind
Il pensiero di Nash, applicato al mercato del lavoro, suggerisce una possibile soluzione al problema della competizione. Personalmente ritengo che siano tre i punti chiave per costruire un contesto lavorativo in cui possano coesistere progresso, sostenibilità e profitto.
1. Etica
Assumere un comportamento corretto nei confronti dei clienti e delle altre aziende è la base di partenza. Non serve a nulla millantare vantaggi e punti di forza o mettere in cattiva luce i competitor, si rischia solo di fare terra bruciata intorno e di perdere la stima delle persone. Meglio concentrarsi su come offrire vero valore e su come superare i propri limiti, mantenendo sempre un atteggiamento onesto e trasparente.
2. Cooperazione
Un mercato di qualità si crea con il contributo di tutte le parti in causa. Invece di porci in contrasto con i rivali, è molto più proficuo remare nella stessa direzione, nell’interesse comune di far crescere il settore anziché contrarlo o frammentarlo. Abbandonare le inutili gelosie, il timore che anche gli altri sappiano fare bene, e aprirci alla condivisione di idee ed esperienze è la maniera migliore per farlo.
3. Consapevolezza
Come già detto, la qualità non si può misurare in modo oggettivo. Per questo occorre educare il mercato, coinvolgendo e sensibilizzando i clienti sui reali benefici che derivano dalla scelta di prodotti e servizi di livello. Limitarci a produrre un preventivo serve a poco se poi la persona non è in grado di cogliere le opportunità che ci sono dietro. Bisogna dialogare, dedicare tempo, mettersi a disposizione, indipendentemente dal fatto che si chiuda o meno il contratto in quel preciso istante. Un cliente bene informato facilmente diventa interessato e saprà riconoscere il valore (non il costo) della nostra offerta.
Punti di vista