Parlare positivo
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Parlare positivo

Il linguaggio usato da chi si occupa di comunicare l’identità del brand condiziona la qualità dei contenuti prodotti: la marca ha bisogno di parole positive anche dietro le quinte. Una di queste è “persone”.

Il linguaggio di marca ha un ruolo preciso: contribuisce a creare una comunicazione verbale di valore. In Verbal Design: il potere delle parole al servizio del brand spieghiamo meglio come le parole usate dal brand ne riflettono l’identità, creando una conversazione coesa intorno a esso capace di trasmetterne i valori e rafforzarne l’esperienza complessiva.

Le parole danno forma all’immaginazione, influenzano il pensiero creativo e la sensibilità di chi le usa. Anche quelle scelte internamente da chi lavora per comunicare l’identità del brand migliorano l’efficacia del risultato: il linguaggio condiziona la mente di chi produce contenuti di marca.

Ad esempio, se con Nunzia lavoro alla stesura di una newsletter, i termini con cui ragioniamo incideranno sulla qualità di ciò che realizzeremo.

Nomina sunt omina

I latini lo sostenevano con fermezza: i nomi sono gli uomini. Non si attribuiscono per convenzione né in modo superficiale in quanto un nome è l’essenza di una persona o di una cosa.

Contenitori di significati ed elementi carichi di energia, i nomi hanno il potere di suggestionare chi li porta, ma prima di tutto chi li attribuisce. Quando i genitori ne scelgono uno per il proprio figlio, nella loro mente è già attiva un’idea che proietta precise aspettative riguardo alla personalità del piccolo. Probabilmente queste saranno capaci anche di orientarne l’identità.

Le parole che usiamo influenzano la nostra esperienza.

Se ristrutturiamo la comunicazione interpersonale con termini migliori, positivi e più emozionali, avremo maggiori possibilità di tradurre le nostre idee in messaggi efficaci. Perché sappiamo bene che alla marca non basta raccontare cosa fa e come lo fa, ma ha il dovere di rivolgersi alle persone con messaggi che toccano l’anima, che coinvolgono dal punto di vista emotivo e che, il più delle volte, neanche riguardano i prodotti.

Ed è proprio quando parliamo dei destinatari dei messaggi che spesso lo facciamo con superficialità: li chiamiamo indistintamente “target”, “consumatori”, “pubblico”, “persone”.

I sinonimi non esistono

Per abitudine o per convenzione, tendiamo a usare questi quattro termini senza cognizione di causa. Ognuno invece ha un senso differente, quindi anche i valori percepiti cambiano.

Col presupposto che non suggerisco di abolirli (anche noi spesso abbiamo scelto di usarli), credo che andrebbero riconsiderati il vero essere delle persone, la loro volontà e intelligenza, a partire dai ragionamenti interni che si fanno quando si discute di loro in quanto destinatari di ciò che produciamo.

Perché, se il loro ruolo è mutato profondamente negli anni fino a divenire prioritario anche rispetto ai desideri della marca, non si può pensare di conquistarne cuore e mente senza considerarle per quello che sono, persone prima che consumatori, pubblico o target. E questo spirito nasce dalle parole con cui dialoghiamo internamente.

Le persone non leggeranno il manuale del brand né ascolteranno i discorsi che le riguardano, ma come parleremo e scriveremo di loro ci condizionerà nel modo di pensare e quindi di lavorare per loro: a una parola morbida, garbata e familiare la mente associa un’immagine amorevole, intima, che ha il potere di favorire anche un approccio diverso all’atto creativo, più sensibile ed empatico.

Come sottolinea Luisa Carrada nel suo articolo I dizionari, i mari delle parole: “I sinonimi veri non esistono… non trovo di alcuna utilità sostituire una parola con una che le assomiglia.Le parole si assomigliano, appunto, ma mai una produrrà il medesimo effetto dell’altra: le parole hanno colori diversi ed emanano vibrazioni differenti.

Se ci soffermiamo sulla definizione di target, consumatori, pubblico e persone riusciamo a comprendere come le sfumature di significato tra questi quattro termini siano capaci di generare impressioni diverse.

Dal dizionario Treccani:

  • Target
    La fascia dei potenziali acquirenti di un prodotto, o della clientela a cui un messaggio pubblicitario può essere indirizzato.
  • Consumatori
    Chi consuma, o anche, più genericamente, chi acquista, beni economici, qualunque carattere abbia il consumo o l’acquisto.
  • Pubblico
    La gente, il complesso totale di un numero indefinito di persone.
  • Persone
    Individuo della specie umana, senza distinzione di sesso, età, condizione sociale e simili, considerato sia come elemento a sé stante, sia come facente parte di un gruppo o di una collettività.

Se parlo di target, mi viene in mente una sagoma scura, lontana, da centrare senza risparmiare munizioni; i consumatori invece sono verdoni, come il colore dei dollari; il pubblico è una platea colorata pronta all’applauso o al lancio di pomodori, con cui c’è poco dialogo perché la capacità d’ascolto è limitata.

Con le persone è diverso. Sono vicine, ricche di sfaccettature, valori, aspettative e anche debolezze; parlando di persone, la prospettiva si sposta dal bisogno di ottenere un immediato riscontro economico a quello di sviluppare affinità di pensiero e di emozioni. È un approccio più naturale, meno strategico, che mi porterà a produrre contenuti più consoni al mio desiderio, quello di instaurare un rapporto di reciprocità con le persone.

Parole che trasmettono vibrazioni positive danno forme gradevoli all’immaginazione, migliorano l’atto creativo e anche l’ambiente al servizio del brand, perché attraverso la loro diffusione si contribuisce a ristrutturare il contesto in cui operiamo. Così, preferisco chiamarle persone.

Punti di vista

E tu cosa ne pensi?

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Il colore delle parole

È l’energia che dà forma all’immaginazione di chi le pronuncia; e se la posizione lo permette, genera una grande eco. In ogni caso, non si può trascurare l’effettiva risonanza che le parole hanno sulla realtà: vanno scelte con cura.