Non voglio parlare con te! (Ma l’ho appena fatto)
Comunicazione \

Non voglio parlare con te! (Ma l’ho appena fatto)

L’impossibilità di non comunicare è provata, la soluzione potrebbe essere il compromesso. Ognuno può trovare il suo nella propria dimensione e negoziare così la condivisione di sé.

Quando Paul Watzlawick scriveva che “non si può non comunicare” io già tremavo. Non ero ancora nata ma lo avevo sentito, e questa cosa evidentemente deve avermi spaventata parecchio ancora prima che la sperimentassi alcuni anni dopo.

Quello che è passato come il primo assioma della comunicazione partorito nella Scuola di Palo Alto è, forse, anche il più problematico. Quando non vogliamo comunicare stiamo comunicando che non vogliamo farlo e quindi sì, stiamo comunicando. Se non è un problema questo!

“L’attività o l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro.”
Paul Watzlawick, J.H Beavin, D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, 1971

C’è, secondo il mio punto di vista, una possibile soluzione: il compromesso. Ma prima qualche accenno sulle dinamiche.

Per via della bidimensionalità del comunicare (aspetto di contenuto e di relazione), anche qualora non trasmettessimo nessun messaggio di contenuto, stiamo definendo la relazione, comunicando cioè che non abbiamo voglia di instaurare un legame relazionale con l’interlocutore. Spesso, infatti, i due piani di trasmissione vanno in contrasto: è qui che interviene la metacomunicazione a indagare i vari aspetti della conversazione, come il non verbale, richiamando all’attenzione quello che comunichiamo anche non comunicando.

Comunicare è la cosa più difficile che c’è e, a volte, devo dire che è anche quella che mi viene meglio, un paradosso come tanti altri. La comunicazione è un processo complicato qualunque sia il canale e chiunque siano gli interlocutori perché comunicare vuol dire condividere, mettere in comune qualcosa. E non si tratta di offrire una caramella, ma se stessi, una donazione tanto nobile quanto pericolosa.

La comunicazione però è anche buona, perché spesso permette di scegliere il mezzo. E il mezzo può essere il compromesso. Io ho scelto questo, quello di scrivere.

Scrivo perché non so parlare di quello che scrivo. Non a caso la parte del mio lavoro che si avvicina di più alla mia natura è il copywriting.

Eccola, la natura. Dobbiamo adattarci se non vogliamo estinguerci (non l’ho detto io, non lo avrei mai fatto). Tuttavia, andare troppo contro la propria natura per mero spirito di adattamento, sono convinta non sia una grande idea. Finiremo per essere disadattati. Sarebbe opportuno invece andarle incontro, ascoltare i suoi consigli e svoltare ai suoi segnali, lei, solo lei saprà indicarci la via. Qual è la difficoltà allora? Il compromesso. Dobbiamo pur vivere. Se la nostra natura è selvaggia sarà difficile, almeno per la cultura occidentale, stare in società allo stato brado, al pari della tigre della savana. Qui le tigri della savana le mettono in gabbia, al circo. Questo saremmo per la società occidentale, bellissimi animali da circo.

Ecco perché il compromesso è fondamentale, perché può permetterci di stare con un piede sulla terra e con l’altro nel nostro piccolo mondo fatto di quello che siamo veramente. Non possiamo sceglierne uno solo. Dobbiamo trovare il modo per viverli entrambi, oppure possiamo dimenticarci di chi siamo.
Ebbene sì, non possiamo non comunicare, ma possiamo scegliere come farlo, non è il massimo, ma potrebbe essere un’alternativa.

Se non si era capito, la scrittura è il mio compromesso. A patto che non se ne parli (non me ne voglia Wilde). E il vostro qual è? Scrivetelo!

Punti di vista

E tu cosa ne pensi?