Marche e immaginazione sociale
Branding

Marche e immaginazione sociale

I brand sono progetti di senso e come tali devono creare discorsi significativi capaci di ispirare, essere utili e migliorare la vita delle persone. Devono essere fonte di immaginazione collettiva.

In Marche e mondi possibili, Andrea Semprini affronta il tema della natura semiotica della marca. Definisce la specificità principale del brand nel fatto di essere “un’istanza semiotica, una maniera di segmentare e di attribuire del senso in modo ordinato, strutturato e volontario”. In parole più semplici, vuol dire che la marca è in grado di creare e veicolare significati rilevanti per il proprio pubblico. Il suo potere consiste nel selezionare questi significati all’interno dello spazio sociale e nell’organizzarli in un racconto pertinente e attraente, capace di risuonare con i bisogni, le ambizioni e i desideri dei destinatari.

Attraverso i brand, le persone possono dare una risposta alla continua ricerca di senso che caratterizza le società postmoderne. Le marche diventano fonti di identità, contribuiscono a costruire progetti di vita, a orientare le decisioni e a dare un senso all’esperienza quotidiana, prendendo il posto da sempre occupato dalle istituzioni, dalle ideologie, dalle religioni.

La marca, dunque, si può definire un progetto di senso proprio per la sua capacità di costruire quello che Semprini chiama mondo possibile: l’insieme di significati, valori, contenuti e discorsi associati al brand, che la sola enunciazione del nome basta ad evocare.

I mondi possibili generati dalle marche sono costruzioni immaginarie, che però prendono forza e consistenza attraverso narrazioni in cui gli individui si riconoscono e si identificano, scegliendo di portarle nelle loro vite perché ritenute rilevanti, utili e ricche di senso. È questo il significato di esperienza di marca.

Nella creazione di mondi possibili gioca un ruolo fondamentale l’immaginazione del pubblico perché i racconti del brand si nutrono di essa e a loro volta la nutrono.

Secondo l’antropologo statunitense di origine indiana Arjun Appadurai, l’immaginazione è la capacità di immaginare, di considerare livelli di realtà altri rispetto a quello in cui ci si trova, mondi alternativi al mondo del qui e adesso. A livello sociologico, va intesa come fenomeno sociale e non come semplice qualità individuale, legata alle sole forme di creatività artistica o di originalità estetica.

L’immaginazione sociale nasce sulla spinta della forza simbolica delle comunicazioni di massa e consente la definizione di spazi di interazione mediata in cui è possibile avere accesso a risorse culturali e identitarie che riuniscono e accomunano gli individui. Questi spazi socioculturali, benché immaginari, assumono significati rilevanti per le persone attraverso un costante lavoro di interpretazione e ricollegamento alle loro esperienze di vita.

L’immaginazione sociale si alimenta delle sollecitazioni prodotte dalle grandi narrazioni istituzionali, dalle industrie culturali e dell’immaginario, dai movimenti sociali, da Internet e dai social network. Gli elementi semiotici provenienti da queste fonti discorsive sono ricevuti dagli individui, filtrati, interpretati, ricombinati e usati come materiali per costruire i propri mondi possibili. Questi, una volta costituiti, esplicitati e formalizzati, vengono reimmessi nel tessuto sociale, disponibili ad essere ricodificati e reinterpretati a loro volta dal pubblico.

Nelle società postmoderne le marche svolgono un’importante funzione come fonte di immaginazione sociale, perché consentono di costruire livelli di realtà alternativi alla realtà del vissuto quotidiano o dell’esperienza realista del mondo in cui viviamo. Espressione dello zeitgeist, catturano i significati che attraversano lo spazio sociale e li organizzano in strutture di senso sotto forma di narrazioni attraenti e seduttive dal forte contenuto simbolico, capaci di suscitare identificazione e appartenenza.

È proprio la caratteristica di fornire risorse per la definizione dell’identità individuale e collettiva che permette ai brand di creare quelle che il sociologo irlandese Benedict Anderson chiama comunità immaginate, spazi sociali in cui il senso di appartenenza è costituito dagli apparati simbolici culturali, risultato dell’attività simultanea di individui che, attraverso pratiche di consumo culturale, si allineano con una certa cultura. Queste comunità, seppur immaginate, assumono rilievo nella vita reale delle persone perché contribuiscono a dare senso alle loro esistenze.

L’immaginario collettivo della marca produce significati che possono ispirare, far nascere nuove idee, motivare, spingere a realizzare progetti, muovere all’azione. Questo è uno degli aspetti più potenti dell’immaginazione sociale, reso chiaro dalle parole di Appadurai:

“L’immaginazione, soprattutto quand’è collettiva, può diventare l’impulso per l’azione.”
“L’immaginazione è oggi una palestra per l’azione, e non solo per la fuga.”

L’immaginazione, quindi, come energia sociale che crea le condizioni per agire, spingendo le persone a seguire le proprie aspirazioni, a tradurre in realizzazione pratica la prospettiva con cui concepiscono la propria vita. Non è importante che riescano a concretizzare esattamente quanto immaginato; quello che conta è che l’immaginazione accenda il loro pensiero, le metta in moto, le incoraggi a cambiare e a migliorare, nei limiti delle loro possibilità.

È questa una delle maggiori responsabilità che le marche hanno nelle società postmoderne, sempre più scevre di riferimenti e guide culturali: essere di ispirazione, creare esperienze utili e significative per il proprio pubblico, favorire la costruzione di una vita sociale ricca di senso (non solo di prodotti), fornire stimoli che possano aiutare le persone a migliorare la propria esistenza.

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