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La strategia della politica che vince sui social
Sfondare il muro delle ‘camere dell’eco’, costruite dalle logiche dei social network, con stratagemmi sottili e fallaci: è questo l’unico modo per ottenere visibilità e avere la meglio sugli altri?
Molti sono ancora convinti che ciò che vedono nella propria timeline di Facebook compaia anche su quella degli altri: non è così. Sui social, se si eccettuano i contenuti sponsorizzati, ognuno vede solo ciò che succede nella cerchia ristretta di ‘amici’ con cui interagisce maggiormente, che corrisponde una minuscola percentuale di tutto ciò che accade sulla piattaforma.
Solitamente, infatti, interagiamo con le persone a noi più affini, mettiamo like ai post che ci piacciono, commentiamo quelli che suscitano il nostro interesse e ne condividiamo altri che rispecchiano le nostre opinioni. Così, le logiche dei social network contribuiscono a mostrarci principalmente contenuti di ‘amici’ e pagine a noi più vicini.
In questi contesti online, dunque, abitiamo in delle cosiddette ‘camere dell’eco’, in cui è amplificata la voce di chi la pensa come noi. È il fenomeno che favorisce la preoccupante diffusione delle fake news, molto pericolosa per l’opinione pubblica perché contribuisce alla disinformazione su Facebook.
C’è qualcuno, però, che è riuscito ad aggirare efficacemente queste logiche e a infilarsi nelle ‘camere dell’eco’ anche di persone che non condividono i suoi punti di vista, con una strategia sottile e ben studiata, eppure molto discutibile. Si tratta di Matteo Salvini e del suo lungimirante stratega Luca Morisi.
I due hanno compreso che c’è un modo molto efficace di stimolare le condivisioni, anche da parte di chi è lontano dalla propria idea politica: suscitare indignazione. Quando Salvini urla con post carichi di odio e cattiveria ottiene molte più condivisioni di altri che esprimono pensieri effettivamente più condivisibili e più apprezzati dalle persone, ma meno efficaci dal punto di vista mediatico.
L’indignazione favorisce la visibilità al punto da sovrastare le altre voci in campo, quelle più deboli e fioche. Ecco perché i post che suscitano questo tipo di sentimento oscurano tutto il resto, perché finiscono per invadere le bacheche di persone appartenenti a cerchie sociali diverse, anche quelle collocate sull’estremo opposto. Le dichiarazioni degli avversari politici più moderati, e di chiunque non ami urlare allo stesso modo, non ottengono un tale numero di condivisioni e like e finiscono in secondo piano fino ad affossarsi sotto la mole di post più pesanti.
Molte persone, soprattutto quelle che ricevono informazioni solo da Facebook, arrivano a supporre che non ci siano voci contrastanti, che chi la pensa diversamente non stia facendo nulla per avallare un punto di vista diverso. In realtà non è così, ma la moderazione oggi, viste le dinamiche sviluppate dai nuovi media, non è efficace come lo è la polarizzazione.
Ogni post pubblicato a nome di Salvini è studiato per raggiungere tre obiettivi:
- coprire per primo la notizia del giorno facendo in modo che i media tradizionali, gli avversari politici e tutti gli altri inseguano il trend;
- polarizzare la discussione tra pro e contro il punto di vista espresso;
- alimentare odio, rabbia e paura per far emergere sentimenti negativi nelle persone e poi condizionarle in maniera subliminale.
Nulla è istintivo in questa strategia, anzi, tutto è calibrato sulla base di analisi accurate eseguite attraverso un potente algoritmo.
La sentiment analysis dell’algoritmo chiamato ‘La Bestia’
La strategia social di Salvini si avvale di un algoritmo ideato da Luca Morisi e chiamato ‘La Bestia’ per via degli obiettivi cinici per cui viene utilizzato. Questo algoritmo opera una sentiment analysis, ossia uno studio dei sentimenti suscitati dai post condivisi, attraverso l’elaborazione del linguaggio degli utenti, per identificare ed estrarre dal testo le loro opinioni. Questo tipo di analisi è utilizzato in vari settori; il marketing, per esempio, la applica ai social media per comprendere le preferenze dei consumatori.
Dunque, i post diffusi a tale scopo rappresentano un’esca per attirare reazioni che nutrono ‘La Bestia’, così che essa possa restituire dati utili per veicolare una comunicazione funzionale ad apparire, di volta in volta, in sintonia con gli umori prevalenti nell’opinione pubblica. In altre parole, si fa leva sulla rabbia e sulla paura delle persone per poi suggerire loro che, se si dà fiducia alla Lega, le cose andranno diversamente. Non è un caso che i messaggi di Salvini si concludono puntualmente con un frammento di speranza e positività.
La grande efficacia della strategia mediatica salviniana sta nell’afferrare ciò che la gente vuole e, al contempo, condizionare le sue idee in modo sottile e impercettibile. Ecco perché i messaggi diffusi da Salvini sono diventati nel tempo sempre più polarizzati e, di pari passo, è cresciuta la sua popolarità sui social network.
Salvini ha costruito intorno alla propria figura un personaggio volutamente polarizzato, perché ha compreso che così avrebbe ottenuto maggiore visibilità nei luoghi digitali altamente popolati da persone di ogni genere: suscitando reazioni e sentimenti forti, da parte sia di chi si colloca sul suo stesso estremo sia su quello opposto, riesce a ottenere una grande eco mediatica, favorita dalle numerose citazioni e condivisioni. Al contrario, chi assume modelli di comunicazione e comportamento più moderati – avversari politici, opinionisti ed esperti che non hanno una tale sagacia – non ottiene la stessa visibilità ed efficacia espressiva.
Cosa c’entra Cambridge Analytica?
Ricordi il caso di Cambridge Analityca, la società di consulenza britannica che ha sfruttato Facebook e la sua bulimia di dati per influenzare il comportamento politico degli elettori americani a favore di Trump? Questa società è stata accusata di costruire profili dettagliati di milioni di elettori americani su cui testare l’efficacia dei messaggi populisti veicolati per favorire la campagna elettorale dell’attuale presidente americano.
Sono tanti a pensare che sia stata proprio la società britannica, fondata dal sovranista Steve Bannon, il segreto del successo elettorale di Salvini. In ogni caso, è innegabile che i due siano in contatto, che quest’ultimo sia stato protagonista di una repentina e inarrestabile ascesa sui social e che promuova la raccolta di dati personali degli utenti attraverso campagne mirate (si pensi, per esempio, al concorso ‘Vinci Salvini’, ideato per veicolare le persone su un sito dove ci si registra tramite Facebook e si forniscono, in questo modo, dati precisi utili alla profilazione digitale).
È indubbio che si stiano delineando nuove forme di promozione politica che sfruttano le dinamiche dei social network in maniera discutibile e preoccupante. Da parte nostra, essere consapevoli di tali logiche ci consente di prestare maggiore attenzione al nostro ruolo in questo contesto: le nostre reazioni, che siano di acclamazione o indignazione, sono funzionali agli scopi propagandistici. Una strategia di questo tipo si nutre delle nostre pulsioni fino a crescere e soffocare le altre voci in campo mettendo a rischio la democrazia stessa.
È importante più che mai porsi una domanda: si può essere altrettanto efficaci oggi, in virtù delle attuali logiche mediatiche, senza far ricorso a strategie che rischiano di ledere i diritti delle persone?
Punti di vista