Che relazione esiste tra realtà e percezione? È più importante l'essere o l'apparire? Chi si occupa di comunicazione e design dovrebbe saper cogliere le differenze, sempre ammesso che ci siano…
La percezione è realtà – Parte 3
Il modo di agire di un designer deve essere sempre intenzionale. Vediamo quali sono le principali regole da conoscere per produrre una comunicazione visiva più consapevole ed efficace.
In quest’ultima parte affronto il tema della percezione visiva dal punto di vista pratico, illustrando le leggi fondamentali che regolano i fenomeni percettivi e che spiegano come il cervello raggruppa e organizza il materiale ottico a disposizione per dargli un significato.
La conoscenza di queste regole è indispensabile ai designer e ai professionisti della comunicazione perché consente di conoscere e affrontare nella maniera giusta i principali problemi di percezione visiva.
Quando possibile, la trattazione degli argomenti riguarderà anche modalità sensoriali diverse dalla vista, in particolare udito e tatto.
Indice dei contenuti:
- Le 7 leggi di unificazione figurale
- Rapporto figura-sfondo
- Alterazioni della costanza
- Bibliografia di riferimento
Le 7 leggi di unificazione figurale
Nel precedente articolo è stata fatta una piccola introduzione alla psicologia della forma e della configurazione (Gestalt) e ai principi che sono alla base di questa corrente. Si è fatto cenno alle sette leggi sviluppate al suo interno, dette leggi di unificazione figurale, che descrivono gli schemi cognitivi seguiti dal cervello per dare senso a ciò che si osserva. Questi modelli di organizzazione percettiva sono comuni a tutti gli esseri umani e per questo vanno considerati costanti vettoriali della percezione.
Vediamo adesso nel dettaglio ciascuna delle sette leggi di unificazione figurale.
1. Legge della vicinanza
Le parti di un insieme percettivo vengono raccolte in unità conforme alla minima distanza.
La vicinanza è la condizione più semplice con cui organizziamo distinte unità sensorie (visive, uditive, tattili ecc.) in una forma stabile: minore è la distanza che le separa, minore sarà la resistenza offerta al loro collegamento reciproco.
Prendiamo i seguenti esempi:
Nel gruppo di sinistra non percepiamo a caso otto segmenti di retta verticali, ma quattro coppie di rette; ciascuna coppia è formata dai segmenti che si trovano più vicini.
Nel gruppo di destra nessuno vede sette righe formate ciascuna da quattro cerchietti, ma tutti percepiamo quattro colonne formate da sette cerchietti ognuna; le colonne prevalgono sulle righe perché i cerchietti sono più vicini in verticale anziché in orizzontale.
Sperimentiamo la legge della vicinanza anche ogni volta che leggiamo un testo: raggruppiamo le lettere in parole (indipendentemente dal loro significato) per via della loro vicinanza e distinguiamo una parola da un’altra grazie al maggiore spazio che separa l’ultima e la prima lettera di due parole consecutive.
Lo stesso avviene a livello sonoro quando sentiamo parlare qualcuno: afferriamo in modo distinto le singole parole per via della vicinanza temporale dei suoni che le compongono.
Rimanendo sulle forme acustiche, se ascoltiamo una serie di battiti consecutivi molto ravvicinati tra loro, ci è quasi impossibile distinguerli in modo isolato; se invece si ripetono con un intervallo di tempo maggiore, uno per volta o per esempio a coppie consecutive separate da un intervallo più lungo, ecco che riusciamo a cogliere successioni ritmiche di battiti.
2. Legge dell’uguaglianza
Se lo stimolo è costituito da una moltitudine di elementi diversi, si manifesta la tendenza a raccogliere in gruppi gli elementi tra loro simili.
L’uguaglianza è un fattore di organizzazione in base al quale si tende a raggruppare insieme elementi che presentano qualità comuni, come la dimensione, la forma, la direzione, il colore, la struttura, il tono. Facciamo qualche esempio.
Nell’immagine che segue, osservando il gruppo di sinistra non si percepiscono più quattro coppie di linee verticali in base alla loro vicinanza, ma prevale l’uguaglianza di colore: si vedranno, quindi, coppie di linee nere alternate a coppie di linee rosse.
Nel gruppo di destra il materiale ottico viene raggruppato per uguaglianza di forma e colore; in altre parole si percepiscono più facilmente righe di oggetti simili piuttosto che colonne di elementi eterogenei (anche se più vicini tra loro).
Da questi due esempi si evince che l’uguaglianza è un fattore di unificazione più forte della vicinanza. Questo aspetto è messo in evidenza anche nel successivo esempio:
Come si può notare, nel testo a destra riusciamo a distinguere le parole perché le lettere vengono raggruppate per somiglianza di carattere e colore.
Un’ultima considerazione riguardante le forme ottiche: il colore prevale sulla forma come fattore unificatore. Nell’esempio seguente, infatti, si percepiscono quattro colonne di elementi eterogenei dello stesso colore invece che righe composte da unità aventi la stessa forma, ma colore diverso.
Spostandoci invece sulle forme acustiche, un semplice esempio che dimostra la validità della legge dell’uguaglianza è quello riportato da David Katz in La psicologia della forma: se ascoltiamo una serie di battiti separati da intervalli uniformi, ma nella quale sempre due forti seguono due deboli, allora percepiamo i battiti deboli a sé e quelli forti a sé, come sub-ritmi nel ritmo totale. In pratica, i battiti vengono raggruppati per somiglianza. Inoltre l’esempio conferma che anche nel caso dell’udito l’uguaglianza prevale sulla vicinanza.
3. Legge della forma chiusa
Le linee delimitanti una superficie si costituiscono in unità più facilmente di quelle che non si chiudono.
Questa legge ci dice che quando osserviamo un insieme di elementi siamo naturalmente portati a rintracciare le forme che si possono chiudere rispetto a quelle che lasciano parti aperte. In altre parole, raccogliamo le unità visive in gruppi che creano delle forme chiuse.
Vediamo un esempio in cui è stata modificata la configurazione di elementi usata per dimostrare la legge della vicinanza.
Come appare ovvio, nel gruppo di sinistra non si percepiscono più come dominanti quattro coppie di linee verticali, ma l’attenzione si focalizza sui tre rettangoli verticali ottenuti grazie all’aggiunta dei segmenti orizzontali che provocano la chiusura delle figure.
Si potrebbe obiettare che in questo caso a prevalere non sia la chiusura, ma l’uguaglianza dei tre rettangoli. Tuttavia il dubbio si scioglie osservando il gruppo di destra in cui continuiamo a percepire le tre figure chiuse anche se non sono simili tra loro.
4. Legge della curva buona o del destino comune
Quelle parti di una figura che formano una “curva buona” o che hanno un “destino comune” si costituiscono in unità con facilità maggiore che non altre.
Per comprendere questa legge è necessario capire cosa si intende per “curva buona” e per “destino comune”. Sono due espressioni riconducibili al concetto di coerenza formale. Quindi, semplificando, in una configurazione tendiamo a raggruppare tra loro gli elementi che presentano coerenza formale. Alcuni esempi possono aiutare a spiegare la legge.
Nell’immagine che segue, la figura a sinistra viene percepita come formata da una curva sovrapposta ad una spezzata (figura al centro) e non come due elementi composti da una parte curva e una parte spezzata uniti in un punto (figura a destra).
Questo avviene perché la curva ha un andamento regolare che la rende coerente (“curva buona”), e la spezzata è formata da segmenti che procedono a zig zag e che dunque hanno un “destino comune”. Percepire la figura come riportato a destra ci risulta innaturale.
Nella prossima immagine abbiamo a sinistra una composizione formata da otto segmenti verticali e cinque segmenti obliqui. Quello che percepiamo a seguito del raggruppamento è una linea obliqua coperta da quattro elementi verticali formati ciascuno da una coppia di linee.
Anche in questo caso si percepisce una linea obliqua intera e non cinque segmenti separati perché questi hanno un “destino comune”, dato dal fatto di essere disposti lungo la stessa retta.
Di seguito, la figura a sinistra viene percepita come un cerchio e un quadrato che si intersecano; nessuno la vede composta dalle tre forme riportate a destra. Questo si verifica perché viene rispettata la coerenza formale o, se si preferisce, il “destino comune” delle due forme.
La legge della curva buona o del destino comune è applicabile anche ai fenomeni acustici. Prendiamo come esempio la situazione in cui una persona ci sta parlando nella stanza in cui ci troviamo mentre in sottofondo c’è una canzone trasmessa alla radio; aggiungiamo a questo il rumore del traffico che proviene dalla finestra aperta. In condizioni normali non avremo alcuna difficoltà a capire ciò che la persona sta dicendo e nemmeno a riconoscere la canzone che stanno passando alla radio; questo perché le tre diverse fonti sonore (la voce della persona, la canzone alla radio e il traffico) presentano “destini diversi”, ovvero hanno ciascuna una propria coerenza formale che ci consentirà di raggruppare i suoni in distinte unità acustiche.
5. Legge del movimento comune
Si costituiscono in unità quegli elementi che si muovono insieme o in modo simile o, generalmente, si muovono in opposizione ad altri che restano fermi.
Per spiegare questa legge riporto integralmente l’esempio proposto da David Katz in La psicologia della forma: “con due proiettori cinematografici fermi proiettiamo due gruppi di punti, disposti, sia ciascun gruppo a sé sia nella combinazione che ne risulta, caoticamente. Dal momento che mettiamo in movimento uno dei due apparecchi e con esso il gruppo di punti da esso proiettato, quest’ultimo si costituisce immediatamente in una ‘unità’ e spicca rispetto al gruppo di punti in riposo. Nel contempo ognuno dei due gruppi perde del tutto il suo carattere caotico mentre dura il movimento. Quando riportiamo il gruppo mosso nuovamente in riposo, nella posizione originale, tutti i punti tornano, dopo un breve lasso di tempo, a fondersi in un complesso unico, caotico”.
In questo esempio i punti sono mossi fisicamente, ma la legge del movimento comune resta valida anche nel caso di composizioni statiche nelle quali sono presenti elementi dotati di moto apparente; questo è determinato dalla loro posizione e dal loro orientamento che li fa apparire in movimento rispetto al resto della configurazione. Osserviamo l’immagine seguente:
Dopo alcuni istanti, durante i quali si ha l’impressione di trovarsi davanti ad un insieme di elementi disposti casualmente, si nota facilmente che alcune forme sono “ferme” (i rettangoli orizzontali e verticali), mentre altre si “muovono” in modo simile (i rettangoli posti in diagonale). Questo determina il riconoscimento di tre raggruppamenti, due di forme ferme e uno di forme che hanno un moto comune.
6. Legge dell’esperienza
La psicologia della forma, pur non riconoscendo all’esperienza quella fondamentale importanza per l’organizzazione percettiva degli oggetti che era sostenuta dalla psicologia associazionistica, non esita tuttavia a riconoscerle un’azione concomitante accanto ai fattori summenzionati.
Questa legge assume rilievo quando, di fronte a una certa configurazione, organizziamo percettivamente gli elementi in forme che per noi hanno un significato, cioè in forme che riconosciamo perché facenti parte dell’esperienza che abbiamo del mondo.
Si può facilmente spiegare questo concetto osservando l’immagine che segue:
Nel gruppo a sinistra vediamo tre linee spezzate formate da segmenti di retta perpendicolari. Il cervello cerca di operare l’organizzazione di questo materiale ottico usando le leggi di unificazione figurale viste finora, ma non riesce ad attribuirgli un significato specifico. Se però ruotiamo di 90° l’insieme di segni (gruppo a destra), improvvisamente vediamo affiorare la forma di una lettera “E” con una sorta di ombreggiatura. Questo, chiaramente, a patto di conoscere l’alfabeto latino. È proprio questa conoscenza che fa parte della nostra esperienza a consentirci di riconoscere una forma che per noi ha significato.
La legge dell’esperienza insegna anche che la percezione di forme significanti dipende dalla posizione spaziale degli elementi. È per questo motivo che ci risulta difficile leggere un testo rovesciato oppure riconoscere l’espressione fisiognomica della fotografia capovolta di una persona.
7. Legge della pregnanza
L’organizzazione psicologica è sempre tanto buona quanto lo permettono le condizioni dominanti.
Il termine pregnanza indica la tendenza a rendere più semplice, più chiara possibile la struttura percettiva. La legge della pregnanza definisce il concetto di “buona forma”, dove il termine “buona” comprende proprietà quali: regolarità, simmetria, compiutezza, omogeneità, equilibrio, massima semplicità, concisione.
Pregnanza vuol dire che tendiamo a regolarizzare geometricamente tutto ciò che percepiamo; tendiamo, cioè, ad attribuire al materiale ottico che osserviamo, nel limite del possibile, le qualità che lo possano definire “buono”.
Facciamo qualche esempio. Se ci troviamo di fronte ad un angolo di 89° o 91° (ma anche di 87° o 93°), lo percepiamo come un angolo retto; una serie di punti che formano quasi un cerchio li percepiamo come se formassero un cerchio perfetto; forme come quelle riportate nell’immagine seguente tendiamo ad approssimarle a figure geometriche regolari (rispettivamente un triangolo, un quadrato e un cerchio), sebbene non lo siano (si tratta infatti di tre segmenti staccati nel primo caso, di un quadrangolo nel secondo e di un ellisse nel terzo).
La legge della pregnanza vale anche in riferimento ad altre sfere sensoriali. Nel caso del tatto, per esempio, si è soliti citare l’esperimento di Benussi: toccando rapidamente la cute in tre punti disposti a triangolo, si produce l’impressione che questi punti formino un cerchio. Anche in questo caso si manifesta la tendenza ad approssimare alla figura più semplice e regolare: il cerchio.
Oltre alle sette leggi della Gestalt esistono molti altri aspetti da tenere in considerazione nella progettazione di un oggetto, di un’immagine o di un messaggio di comunicazione visiva per gestire i problemi legati alla percezione. Non è possibile concludere questo articolo senza trattarne almeno due che reputo basilari: il rapporto figura-sfondo e le alterazioni della costanza di grandezza, di forma e di direzione.
Rapporto figura-sfondo
Nell’ambito della percezione visiva riveste enorme importanza il rapporto tra figura e sfondo, vale a dire tra ciò che sta in primo piano (davanti) e ciò che sta in secondo piano (dietro) in una composizione. In genere la figura è il soggetto della comunicazione ma, come già discusso nell’articolo precedente, non è possibile ignorare lo sfondo, il contesto in cui si colloca. È compito del designer assicurarsi che il pubblico capisca in maniera inequivocabile cosa è figura e cosa è sfondo, a meno di non voler intenzionalmente ottenere un effetto ambiguo. È il caso delle configurazioni reversibili, in cui, a seconda delle prese attentive dell’osservatore, quello che in un momento sembra rappresentare la figura può, un attimo dopo, diventare sfondo e viceversa.
Un classico esempio è il famoso vaso di Rubin, in cui si vede ora la silhouette di un vaso, ora due volti di profilo che si fronteggiano:
Esistono delle regole che permettono di stabilire, e quindi di prevedere, quale parte di una composizione assumerà il “ruolo di figura”. Vediamole sinteticamente.
1. Diventa più facilmente figura ciò che è più piccolo e ciò che è contenuto.
Nell’immagine che segue percepiamo un cerchio bianco su uno sfondo nero e non un quadrato nero “bucato”.
2. Diventa più facilmente figura ciò che ha i margini convessi.
Di seguito percepiamo a sinistra una forma nera in campo bianco e a destra una parte di cerchio bianco in campo nero.
3. Diventa più facilmente figura una forma chiusa piuttosto che una forma aperta.
A sinistra il quadrato bianco è immediatamente percepito come figura, a destra no.
4. Diventa più facilmente figura ciò che ha i margini più vicini.
In entrambe le immagini seguenti percepiamo più facilmente le croci nere in campo bianco e non viceversa.
5. Diventa più facilmente figura ciò che è orientato nello spazio secondo l’asse verticale o orizzontale.
Nonostante i margini equidistanti, di seguito tendiamo a leggere una croce nera in campo bianco e non il contrario.
6. Diventa più facilmente figura ciò che ha i margini regolari.
Nell’immagine che segue percepiamo più facilmente le figure bianche su sfondo nero.
7. Diventa più facilmente figura ciò che non è in equilibrio.
A sinistra è evidente il quadrato bianco su sfondo nero; a destra la percezione del quadrato bianco si alterna a quella della cornice nera.
8. Diventa più facilmente figura ciò che è simmetrico.
Di seguito percepiamo con più semplicità le figure bianche su sfondo nero.
9. Diventa più facilmente figura la configurazione che non lascia parti incomplete.
A sinistra vediamo dei quadrati bianchi, a destra prevalgono le stelle nere.
10. Diventa più facilmente figura la parte della configurazione alla quale viene attribuito il margine.
Nella seguente immagine percepiremo una o due figure a seconda delle forme a cui attribuiremo il margine.
Alterazioni della costanza
Le alterazioni della costanza si hanno in tutte quelle situazioni in cui ciò che sta intorno all’oggetto che si sta osservando – ovvero il dintorno ottico – influenza la percezione che si ha dell’oggetto stesso. Per essere più precisi possiamo dire che in alcune circostanze il dintorno ottico altera la percezione delle caratteristiche fisiche e geometriche dell’oggetto producendo le cosiddette illusioni ottiche.
Esistono tre casistiche:
- alterazioni della costanza di grandezza;
- alterazioni della costanza di forma;
- alterazioni della costanza di direzione.
1. Alterazioni della costanza di grandezza
In questo caso il dintorno ottico modifica la percezione della grandezza dell’oggetto e può farlo in diversi modi. Vediamone alcuni.
Nell’immagine seguente il segmento verticale ha la stessa lunghezza di quello orizzontale, eppure appare più lungo. Questo effetto dipende dal senso della verticalità che, a parità di condizioni, fa sembrare l’oggetto verticale più lungo.
Nel prossimo esempio è il colore, sia quello di sfondo che fa da dintorno ottico sia quello dei cerchi, ad agire sulla percezione di grandezza degli oggetti, facendo apparire il cerchio bianco più grande di quello nero nonostante abbiano le stesse dimensioni. Questo avviene perché gli elementi di colore chiaro subiscono l’effetto (virtuale) di forze centrifughe interne che ne espandono le dimensioni rispetto a quelli scuri che invece sono sottoposti a forze centripete.
Lo stesso effetto si può notare anche nel caso delle texture, che più diventano rade e più sembrano ingrandirsi.
Proseguendo, la grandezza degli elementi che costituiscono il dintorno ottico può influenzare la percezione della dimensione dell’oggetto, come si può vedere nei due esempi che seguono: a sinistra i cerchi rossi hanno le stesse dimensioni, ma il primo appare più grande del secondo; a destra, nell’illusione di Sanders, il primo segmento rosso appare più grande del secondo nonostante siano uguali.
Infine, come si evince dall’illusione di Müller-Leyer, anche l’orientamento del dintorno ottico può alterare la percezione degli elementi: i due segmenti rossi sono identici, ma il primo sembra più piccolo del secondo.
2. Alterazioni della costanza di forma
In questo caso il dintorno ottico agisce modificando la forma dell’oggetto che appare per l’appunto deformato rispetto al suo aspetto reale.
Due classici esempi sono le illusioni di Hering e di Wundt nelle quali le linee orizzontali, perfettamente parallele, sembrano curvarsi.
Un altro esempio interessante è l’illusione conosciuta come “Parete del caffè”, rappresentata nell’immagine di copertina di questo articolo: le file di mattoni o di piastrelle sono assolutamente parallele, ma si percepiscono come distorte.
Come ultimo esempio riporto l’illusione di W. Gerbino: la particolare disposizione dei triangoli neri, che costituiscono il dintorno ottico, causa un’alterazione della forma dell’esagono regolare di colore rosso, dando l’impressione di trovarsi di fronte ad una figura irregolare.
3. Alterazioni della costanza di direzione
L’ultimo caso riguarda le alterazioni che causano una modifica della direzione di segmenti di retta o di percorsi visivi.
Uno degli esempi più noti è l’illusione di Zöllner, già vista nella seconda parte dell’articolo e di seguito riportata, nella quale le linee orizzontali parallele sembrano divergere e convergere a causa dei tratti obliqui ad esse sovrapposti.
Un altro esempio è dato dal fenomeno conosciuto come “rottura della rettilineità”, che si può osservare nell’illusione di Giovannelli: gli elementi rossi sono tutti posti su una linea e sono equidistanti tra di loro, ma appaiono disposti in modo irregolare a causa del dintorno ottico costituito dai quadrati, dai triangoli e dai cerchi.
Infine, concludo con l’illusione di Poggendorf: la naturale prosecuzione del segmento singolo, dopo aver attraversato il rettangolo, sembra essere il segmento posto più in basso, mentre è esattamente il contrario.
Bibliografia di riferimento
- David Katz – La psicologia della forma, 1950
- Gyorgy Kepes – Il linguaggio della visione, 1971
- Gaetano Kanizsa – Grammatica del vedere, 1980
- Massimo Hachen – Scienza della visione, 2007
- Richard L. Gregory – Vedere attraverso le illusioni, 2010
Punti di vista