La percezione è realtà – Parte 2
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La percezione è realtà – Parte 2

Per essere compresi, i prodotti di design e comunicazione devono trasmettere messaggi oggettivi. Ma se la percezione è legata a processi cognitivi di natura personale, com’è possibile farlo?

Nella prima parte di questo articolo sono state indagate le differenze tra realtà oggettiva e realtà fenomenica, vale a dire tra il mondo reale e il mondo così come lo percepiamo. In particolare si è giunti alla conclusione che la percezione della realtà – e non la realtà stessa – è ciò che determina l’effettiva e personale esperienza che ciascuno di noi ha del mondo.

Avere coscienza di questo aspetto riveste un’enorme importanza per chi lavora nell’ambito del design e della comunicazione perché consente di creare messaggi e prodotti in modo più consapevole, comprensibile ed efficace.

In questa seconda parte e nella successiva prendo in esame alcuni dei principali meccanismi che regolano i fenomeni di percezione, utili a capire come il nostro cervello elabora i segnali che provengono dall’ambiente esterno assegnando loro un significato. La comprensione di questi processi aiuta a ridurre il divario che c’è tra quello che intendiamo esprimere e quello che viene compreso dalle persone.

La maggior parte dei ragionamenti e degli esempi fa riferimento al mondo visivo – e quindi al linguaggio della visione – in quanto la vista è il principale mezzo con cui l’essere umano entra in contatto con la realtà, e anche perché risulta più semplice e immediato rendersi conto degli effetti prodotti. Tuttavia, dove possibile, i concetti esposti prendono in considerazione anche gli altri organi di senso.

Per cui, sebbene questi articoli risultino di particolare interesse per chi si occupa di visual design e comunicazione visiva, gli argomenti trattati, e specialmente i principi che ne sono alla base, possono essere traslati e riferiti più in generale all’intero settore.

Vedere e prevedere

Riprendendo quanto espresso nell’articolo precedente, tutto ciò che vediamo non è la pura e semplice rilevazione fisica degli stimoli visivi operata dall’organo della vista, ma è frutto di una complessa elaborazione restituita dal nostro cervello. Possiamo così distinguere la visione, che avviene a livello dell’occhio, dalla percezione visiva, che invece è un prodotto della mente e che costituisce ciò che in realtà crediamo di vedere.

Massimo Hachen definisce il vedere come il risultato di un processo psicopercettivo proprio perché deriva dall’azione combinata della visione e del cervello. Vedere un’immagine, o meglio percepirla, implica dunque la partecipazione cognitiva dell’osservatore, l’innesco di un processo di organizzazione e integrazione che trasforma l’input sensoriale in esperienza visiva. Usando le parole di Gyorgy Kepes, ogni esperienza di immagine visiva, indipendentemente da ciò che uno vede, è un processo di formazione, un atto creativo.

“Si vuole così evitare di compiere una separazione troppo netta tra vedere e pensare, in quanto non è agevole distinguere in questo processo dove finisce il versante sensoriale e dove iniziano le operazioni che più propriamente possono chiamarsi intellettive.” – Gaetano Kanizsa, Grammatica del vedere

Un prodotto di design o di comunicazione, a differenza di quanto avviene nel campo dell’arte, deve essere il più possibile oggettivo, cioè deve poter essere percepito e interpretato univocamente, altrimenti il messaggio che trasmette risulta ambiguo, confuso, di difficile comprensione. Ma se l’esperienza visiva è legata a processi cognitivi di natura personale, com’è possibile ottenere questa forma di oggettività? In altre parole, come si può prevedere in che modo le persone percepiscono ciò che vedono?

I fenomeni di percezione visiva sono regolati da alcune costanti che sono parte integrante della mente umana e che quindi sono comuni a tutte le persone; in pratica, tutti ci serviamo degli stessi processi mentali, che possiamo considerare innati, per analizzare e organizzare ciò che vediamo. Questi meccanismi prendono nome di costanti vettoriali della percezione. Ne sono alcuni esempi il senso della verticalità, l’effetto avanzante del colore rosso e retrocedente del colore azzurro, la diagonale armonica e disarmonica, i percorsi visivi. Nella terza parte dell’articolo esamino più nel dettaglio quali sono gli schemi che il cervello umano segue per organizzare il materiale ottico a disposizione, ovvero per dare senso a quello che si sta osservando.

Conoscendo le costanti vettoriali della percezione è possibile prevedere l’esito del processo psicopercettivo del vedere e, di conseguenza, progettare messaggi e prodotti che possano essere compresi in maniera oggettiva da tutti i possibili fruitori.

Contesto

Prima di parlare in modo più approfondito delle principali costanti vettoriali della percezione è bene precisare l’importanza del contesto in cui avvengono i fenomeni percettivi.

Un elemento non viene mai percepito come separato da ciò che lo circonda: un oggetto visivo si colloca sempre su un determinato sfondo e viene osservato assieme ad esso, così come un suono viene udito sempre su una base sonora di fondo. Anche lo spazio bianco, il vuoto e il silenzio sono contesti, e hanno la loro importanza nella percezione.

È fondamentale comprendere che un elemento è condizionato in ogni momento dal suo contesto e a sua volta lo condiziona. Due semplici esempi possono aiutare a capire questo aspetto.
Il primo è rappresentato dall’immagine di copertina di questo articolo: i cerchi posti all’interno dei due gruppi di cerchi hanno la stessa dimensione, eppure quello circondato dai cerchi più piccoli appare più grande e viceversa. In questo caso la grandezza degli elementi posti all’esterno influenza la percezione della dimensione degli elementi interni.
Il secondo è dato dall’immagine seguente:

contesto-percezione-codencode

Il simbolo al centro delle due stringhe assume due diversi significati a seconda della sequenza nella quale è inserito: a sinistra viene percepito come il numero 5 nella sequenza 456, mentre a destra come lettera S nella sequenza RST. In questo caso entrano in gioco aspetti cognitivi legati all’esperienza, in quanto l’attribuzione di un significato diverso al medesimo simbolo dipende dalla capacità di riconoscere le sequenze di numeri e lettere.

Valutare attentamente in fase di progettazione il contesto sensoriale e cognitivo in cui un elemento, un messaggio o un prodotto andranno a collocarsi contribuisce a limitare l’interpretazione soggettiva da parte del pubblico.

Dall’oggetto alla relazione: i concetti di forma e di totalità

Da quanto detto nel paragrafo precedente risulta chiaro che non è possibile afferrare unità visive (o sonore, tattili ecc.) come entità isolate, perché esse sono sempre inserite in un contesto più ampio che fa da “sfondo”, e questo sfondo viene percepito come inseparabile dalle distinte unità. Questo non vuol dire che viene meno la capacità di riconoscere i singoli elementi, ma il cervello opera una valutazione globale dell’insieme, e l’influenza che i vari “oggetti” hanno tra di loro e con lo sfondo determina la realtà percepita. Anche qui un paio di esempi possono essere di aiuto.
Nell’immagine che segue si possono osservare due gruppi formati da quattro linee orizzontali perfettamente parallele tra di loro, ma nel gruppo di destra, per via dei tratti obliqui sovrapposti, le linee orizzontali sembrano divergere e convergere (illusione di Zöllner). In questo caso la relazione tra i singoli elementi (linee orizzontali e tratti obliqui) che sono riconoscibili singolarmente cambia la percezione dell’insieme.

relazione-percezione-codencode

 

In quest’altra immagine abbiamo una lettera A inserita in tre contesti differenti: uno spazio vuoto, un quadrato con un bordo e un quadrato attraversato da linee orizzontali. Come si può osservare, nel terzo caso la lettera, non è più facilmente riconoscibile a causa del fenomeno di mascheramento dato dallo sfondo in cui è inserita.

mascheramento-percezione-codencode

La progettazione, dunque, non deve tener conto dei singoli “oggetti”, ma delle “relazioni” che si vengono a creare:

  • tra le varie entità;
  • tra le entità e il contesto;
  • tra l’intera “composizione” e il pubblico.

Questi argomenti sono materia di studio della corrente psicologica della Gestalt, sviluppatasi all’inizio del XX secolo in Germania. La psicologia della Gestalt prende il nome dal termine tedesco Gestaltpsychologie che si può tradurre come psicologia della forma e della configurazione.

Uno dei cardini di questa dottrina è il concetto di totalità, introdotto proprio dal fondatore della Gestalt, lo scienziato Max Wertheimer: “Le strutture sono dei complessi, o meglio delle totalità, il cui comportamento non viene determinato da quello dei singoli elementi costituenti, ma dalla natura intrinseca del processo globale stesso”.
Questo vuol dire che nel processo della percezione non è la somma degli stimoli che produce ciò che viene percepito, ma la totalità dei processi componenti; ovvero, la percezione risulta dall’organizzazione degli input sensoriali e dalle relazioni che si stabiliscono tra di essi.

Un altro concetto fondamentale è quello di forma, espresso in maniera chiara dal filosofo austriaco Christian Von Ehrenfels, precursore della psicologia gestaltistica, e riassumibile nelle due frasi:“La forma (Gestalt) è un qualche cosa di più e di diverso che la somma dei singoli elementi” e “Il tutto è più della somma delle sue singole parti”.

Per renderlo più facilmente comprensibile, Massimo Hachen in Scienza della visione fa l’esempio di un brano musicale, che formalmente risulta composto da una somma di note, di suoni separati da intervalli, ma l’ascoltatore percepisce molto più di questo: la melodia e l’armonia, o l’emozione che può provare, tutte cose che non sono spiegabili con la somma dei singoli stimoli acustici. Lo stesso vale per una composizione visiva fatta di forme e colori che l’osservatore percepisce nell’insieme: legge lo spazio, rileva la proporzione tra il tutto e le parti stesse, ne trae un’interpretazione simbolica, ne valuta l’estetica, prova delle sensazioni che vanno ben oltre la semplice aggregazione dei singoli elementi.

Gli studiosi della Gestalt hanno elaborato sette leggi, dette leggi di unificazione figurale, che spiegano in che modo avviene il processo di raggruppamento e di organizzazione degli elementi quando ci si trova di fronte a una certa configurazione. Queste leggi, che sono da considerare costanti vettoriali della percezione, vengono analizzate nella terza parte di questo articolo.

I principi base della Gestalt sono uno strumento di enorme valore per chi si occupa di comunicazione e design perché consentono una corretta progettazione che tenga conto di tutti gli aspetti coinvolti; non soltanto, quindi, quello creativo, ma anche il modo in cui il prodotto e il suo messaggio saranno percepiti e interpretati dai futuri fruitori.

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