La comunicazione etica nella relazione con il cliente
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La comunicazione etica nella relazione con il cliente

Mettere in comune, rispettando gli interessi e le buone ragioni dell’altro, è il significato profondo della comunicazione. È anche il modo migliore di fare marketing.

Il fine ultimo del marketing è vendere, su questo non ci sono dubbi. Ma quando l’enfasi dell’azienda è posta unicamente sul risultato numerico fine a se stesso e sul conseguente ritorno economico, viene messa in pericolo la relazione di lungo periodo con il cliente.

Questo genere di situazione trae origine da una concezione unilaterale del rapporto che il più delle volte porta l’azienda ad avere una mancanza di attenzione nei confronti dei propri interlocutori. I clienti non sono considerati persone con le quali avere uno scambio dialogico, ma un target da colpire, spesso con quanta più violenza possibile pur di ottenere il risultato voluto: la vendita.

È il tipico approccio di stampo “bellico” adottato da molte organizzazioni secondo cui le attività di marketing rappresentano un insieme di armi con le quali conquistare il mercato a discapito dei soggetti che ne fanno parte. Il linguaggio che ne deriva è anch’esso di natura militare, come dimostrano le parole e le metafore utilizzate per esprimersi: aggredire il mercato, sconfiggere la concorrenza, preparare il piano di marketing, mettere in atto strategie e tattiche, fare campagne pubblicitarie, bombardamento mediatico e così via.

Questo modello di comunicazione evidenzia un’impostazione mentale rivolta alla competizione piuttosto che alla collaborazione, allo scontro anziché al confronto, al vantaggio individuale invece che alla costruzione di rapporti basati sulla reciproca fiducia. È di solito accompagnato da una visione miope dei risultati, limitata al breve periodo, che tralascia di considerare gli effetti collaterali e le ripercussioni nel tempo. Soprattutto denota la completa mancanza di pensiero etico che, al contrario, ha come obiettivo l’applicazione di regole comportamentali utili alla produzione del bene comune.

Assumere un comportamento etico significa cercare di raggiungere il benessere collettivo mediante l’ottenimento del benessere individuale, l’uno nel rispetto dell’altro, in modo circolare e virtuoso. Da esso scaturisce la visione etica del marketing che punta a produrre valore individuale e collettivo al tempo stesso ponendo al centro delle attività le persone, nel rispetto e nella salvaguardia di tutti i soggetti coinvolti.

È un atteggiamento che il pubblico ricerca sempre di più nelle aziende, dando preferenza a quelle che si dimostrano autentiche, oneste e trasparenti, con una spiccata capacità di ascolto e che sanno dare prova oggettiva e concreta delle buone intenzioni espresse nelle dichiarazioni d’intenti.

Sì perché le mission e i company profile abbondano di lodevoli propositi, ma in troppi casi mancano i riscontri reali. Lo stesso avviene quando le aziende si rivolgono in prima persona ai possibili clienti, attraverso le azioni di marketing o nelle interazioni faccia a faccia. Lo scambio comunicativo – tante volte un monologo – è teso a ottenere risultati materiali perlopiù immediati, senza curarsi degli effetti che questo modo di fare può portare nel lungo periodo. La comunicazione è spesso volutamente incompleta, poco trasparente, manipolatoria, ingannevole, in generale volta a produrre, più o meno consapevolmente e direttamente, un vantaggio unilaterale.

Se esiste un’enorme distanza tra il dire il fare, ce n’è tanta anche tra il fare e l’essere. Il punto centrale è proprio questo: bisogna essere etici, non fare gli etici. Come discusso in un precedente articolo, l’etica non è una scelta strategica, un qualcosa che si fa solo finta di possedere per irretire il pubblico e cercare di avere un ritorno economico o di immagine. Questo dovrebbe essere un effetto conseguente e non il motivo per agire. Essere etici vuol dire produrre valore aggiunto per se stessi e per gli altri, indipendentemente dalla consapevolezza e dal comportamento di questi ultimi; è prima di tutto un sistema di pensiero che muove all’azione, una naturale condotta non slegata dal normale modo di comportarsi. In questa maniera è possibile generare fiducia, il vero motore che alimenta la relazione azienda-cliente.

La fiducia si ottiene a partire dal modo in cui si comunica e, in funzione di questo, da come si viene percepiti dalle persone. L’obiettivo della comunicazione etica non dovrebbe essere quello di convincere l’interlocutore, ma quello di costruire un dialogo, uno spazio comune tra le parti nel quale porre i reciproci interessi e trovare soluzioni utili a soddisfare tutti. Questo scopo si raggiunge quando i clienti percepiscono un interesse autentico e benevolo nella controparte, quando si rendono conto che ha davvero a cuore i loro bisogni e che si impegnerà fino in fondo per renderli felici. Al contempo l’azienda deve far percepire la propria competenza, non come la mera esibizione del sapere personale, ma come padronanza, cultura e bagaglio di conoscenze ed esperienze da mettere al servizio dell’interlocutore.

Fare marketing in modo etico, curando tanto la forma quanto il contento della relazione, determina la qualità delle percezioni del pubblico con il conseguente miglioramento dei risultati in termini di immagine e di reputazione. È importante perché consente la costruzione di un dialogo efficace che mette al centro il riconoscimento e il rispetto degli interessi dell’altro, e si dispone per la ricerca di quelle soluzioni che permettono di raggiungere il benessere collettivo. È questo il modo di dare valore concreto al significato contenuto nell’etimo stesso del termine comunicazione, ovvero il “mettere in comune”.

Punti di vista (2)

  1. Pio Colasanti

    Essere, e non fare, gli etici oggigiorno richiede un surplus di impegno spesso non corrisposto, ovvero (in chiave di rapporto commerciale) anche chi è potenziale acquirente dovrebbe avere un comportamento etico che raramente si riscontra; sarebbe una gran cosa ci fosse anche nel primo approccio quando invece, il più delle volte, ci si limita a domande secche del tipo “info?” oppure “costo?” e tocca fare una fatica improba nel tentativo di tessere un dialogo orientato alla comprensione delle esigenze, vere o presunte, di chi ha simile comportamento di approccio. 🤷

    1. Carmelo Giancola

      Vero. Il dialogo si costruisce se c’è la volontà da ambo le parti. Purtroppo non sempre ci sono i migliori presupposti per iniziare una relazione, soprattutto se il contesto è quello dei social e le bacheche sono invase da post sponsorizzati, più o meno commerciali, verso i quali l’interesse del pubblico si riduce il più delle volte alle domande a cui fai riferimento. Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, quanto sia efficace il tipo di comunicazione e marketing che genera queste domande, e se è davvero teso a instaurare un dialogo.

E tu cosa ne pensi?