Molte aziende hanno capito che mostrare un atteggiamento etico e socialmente responsabile consente di distinguersi dai concorrenti. Ma quante riescono ad avere una visione umanistica dell'impresa e a mantenere la promessa del brand?

L’etica non è una scelta strategica
La marca oggi ha il dovere e la responsabilità di sensibilizzare le persone e influenzarne positivamente i comportamenti. Non per profitto né per differenziarsi, ma per il bene comune.
Migliorare la vita delle persone è il proposito di una strategia di marca efficace. Come detto più volte, infatti, le persone scelgono un brand non solo per il beneficio legato al consumo o all’utilizzo del prodotto, ma soprattutto per il suo perché.
Quando quest’ultimo contribuisce al bene comune oltre il proprio tornaconto, la marca assume un ruolo importante: sensibilizza le coscienze, influenza il pensiero e i comportamenti delle persone attraverso ciò che dice e, soprattutto, ciò che fa.
Da tempo le marche scelgono l’etica per ottenere risultati migliori. Ma, promuovere valori lodevoli non ha senso se il fine è il solo profitto o la differenziazione sul mercato.
È ora di diffondere cose buone perché ce n’è bisogno.
Quando si condivide questa necessità con le persone, l’impegno della marca diventa autentico, indipendente dalla variabile profitto. Allora sì, vale la pena anche divulgarlo.
Non si gioca più
“Scusateci, ora tocca a noi decidere le regole del gioco: la prima regola è che non si gioca più.” – Punto 30 del Newtrain Manifesto
Quelli passati sono stati anni di dichiarazioni motivanti urlate a gran voce, di parole premurose e ridondanti, di campagne risolute ma autoreferenziali. Sono stati anni di banalizzazione dei valori.
Prendo in prestito il punto 30 del Newtrain Manifesto, di cui invito a leggere motivazioni e tesi nell’articolo L’ultimo treno di Paolo Iabichino, per ribadire che è necessario essere onesti, nel rispetto di ciò che vogliono le persone. Perché ora sono loro a decidere le regole.
Non si fa più strategia
Il brand che si espone a favore di una causa ha maggiori possibilità di creare legami speciali con chi è schierato dalla stessa parte. E questo oggi è abbastanza scontato.
Lo è meno, invece, il fatto che una scelta tanto importante dovrebbe trascendere la strategia: sono i motivi delle persone ad avere priorità, il desiderio di contribuire a migliorare qualcosa di più importante del benessere immediato e individuale.
Le persone scelgono la marca che dà loro la possibilità di farlo, a patto però che il suo impegno sia concreto e riscontrabile. I contenuti del brand ne sono strumenti divulgativi e assolvono il compito di sensibilizzare gli animi e le coscienze solo quando la marca aderisce davvero ai valori che esprime, a partire dall’interno della sua struttura organizzativa.
Deve crederci, prima di tutto.
Il caso Hasbro: dalle buone intenzioni al woke washing
Nel 2019 la Hasbro presenta una versione del Monopoly in rosa, una rivisitazione del gioco da tavolo che avvantaggia le giocatrici con maggiori quantità di denaro e non ha lo scopo di costruire alberghi o case, bensì invenzioni famose realizzate da donne del passato.
L’idea solleva la questione dell’uguaglianza di genere: il Ms. Monopoly vuole invitare a riflettere sulle differenze ancora significative tra uomo e donna sul piano dell’empowerment, inteso come processo di crescita dal punto di vista lavorativo, politico e sociale.
A poca distanza dalla presentazione del gioco, però, l’iniziativa si rivela un’azione di woke washing ovvero costruita intorno a una causa etica non permeata all’interno dell’azienda. Tra le varie accuse ce n’è una in particolare: sebbene sia stata Elizabeth Magie a inventare il gioco del Monopoly, pare che la Hasbro ne abbia fatto risalire l’origine a un brevetto attribuito a un uomo.
Dunque, un avvenimento remoto può influenzare ciò che la marca sostiene a distanza di un secolo?
Una scelta etica è condizionata dall’identità della marca, dai suoi valori e da una serie di elementi legati al brand, come la sua collocazione geografica, i prodotti o servizi erogati, la sensibilità del suo pubblico. Quindi, ha valore anche la sua storia, ciò che è accaduto in passato e che, in qualche modo, può inficiare le buone intenzioni.
La causa deve avere valore intrinseco per il brand, prima che strumentale.
Vale a dire che se si decide di sostenere la parità di genere sul lavoro è perché si crede che il ruolo della donna sia rilevante a prescindere dai benefici che può generare tale scelta. Di conseguenza, ritenendo importante il tema, ogni aspetto della vita del brand ne avrà riguardo, a partire dalla meritocrazia tra le risorse umane, ad esempio, nonostante questa potrebbe rimanere per sempre un aspetto omesso alle persone.
Nell’articolo Quando la responsabilità fa la differenza, usiamo l’esempio di Cucinelli per avvalorare questo punto di vista: portare avanti comportamenti coerenti crea valore per tutti.
Oggi per i brand prendere posizione è una scelta di coscienza che si esplica attraverso il comportamento e assume carattere educativo grazie alle attività di comunicazione e di marketing. Quando invece l’etica è una pura variabile promozionale ne nasce ostentazione, che ha conseguenze negative per la marca e per la stessa causa, quindi per le persone.
L’etica non è una scelta strategica.
Punti di vista