Come si determina la corretta quantità di spazio che deve vivere fra due lettere o fra due parole? È una questione di calcolo, capacità di osservazione ed esperienza.
Correzioni ottiche nella progettazione dei caratteri tipografici
Nel type design le apparenze contano. Per questo, quando si disegnano le lettere, il rigore geometrico cede il passo alla percezione visiva e alla sensibilità del progettista.
Progettare un font, o addirittura un’intera famiglia di caratteri, è un lavoro che richiede non poche conoscenze e abilità. Oggi esistono numerosi software che facilitano questo compito, ma non si può prescindere dal padroneggiare i principi base di disegno e composizione tipografica. Questo vale anche nel caso in cui si debbano disegnare solo poche lettere, come avviene nella realizzazione dei logotipi.
Come illustra bene Aldo Novarese nella sua famosa opera Il segno alfabetico, la progettazione dei caratteri deve necessariamente tener conto di due aspetti sostanziali: la leggibilità e la visibilità. Il primo si riferisce al comfort di lettura e dipende dalla sistemazione e dall’accostamento dei segni tipografici; il secondo, propedeutico al primo, riguarda il riconoscimento delle singole lettere e dipende dalla loro forma, ossia dal loro disegno.
La giusta forma di un carattere si ottiene rispettando tutta una serie di criteri di progettazione, tra cui ci sono le correzioni ottiche. Si definiscono in questo modo gli accorgimenti e le compensazioni di tipo ottico che servono a migliorare la percezione visiva delle lettere, evitando di commettere diversi crimini tipografici.
Sono numerose le correzioni ottiche che è possibile – e in molti casi necessario – apportare quando si disegna un font: alcune dipendono dalla specifica forma del carattere, altre dagli accostamenti delle lettere. In questo articolo presento le casistiche principali. Per rendere più facilmente assimilabili i concetti, negli esempi faccio riferimento a caratteri maiuscoli con forme lineari; i principi, ovviamente, sono applicabili anche a forme diverse e a strutture tipografiche più complesse.
Il primo caso riguarda le lettere formate da aste verticali e orizzontali, come la B, la D, la E, la F, la H, la L, la P, la R e la T. Se si disegnano tutti i segmenti di uguale spessore, quelli orizzontali appaiono più spessi di quelli verticali a causa dell’effetto ottico, come è possibile notare osservando la E a sinistra nella figura seguente. Per ristabilire l’equilibrio ottico, quindi, bisogna ridurre lo spessore dei tratti orizzontali, come nella E a destra.
Un altro caso riguarda i caratteri che presentano aste centrali, come la B, la E, la H e la S. Se il tratto orizzontale viene posizionato esattamente a metà dell’altezza (come nella E a sinistra nella figura seguente), l’area interna superiore appare più ampia di quella inferiore. Per correggere questo effetto va spostata leggermente la linea mediana verso l’alto, come è stato fatto nella E di destra.
La correzione ottica appena vista non è necessaria nelle lettere F e P per via dello scompenso creato dal vuoto presente nella parte inferiore. In questo caso si agisce al contrario, spostando verso il basso la parte centrale oltre la linea mediana.
Sempre a causa dello spazio vuoto nella parte inferiore, la lettera F va disegnata più stretta della lettera E.
Nel caso della lettera C, se si disegnano le due terminazioni in modo speculare (a sinistra nella figura seguente), quella superiore sembra più lunga di quella inferiore. È opportuno, perciò, diminuire la lunghezza del tratto terminale superiore e aumentare quella del tratto terminale inferiore.
Nelle lettere che presentano le parti superiori geometricamente a filo con quelle inferiori (come la B, la C, la E, la G, la K, la R, la S, la X e la Z) le prime appaiono più ampie delle seconde. Per ristabilire l’equilibrio visivo è necessario restringere leggermente le parti superiori, come indicato a destra nelle figure seguenti.
Un fenomeno simile riguarda il tratto centrale delle lettere E ed F, la cui lunghezza va ridotta per evitare l’effetto spanciato verso l’esterno, visibile a sinistra nella figura seguente.
Nelle lettere che hanno tratti terminali brevi (come la C, la G, la J e la S) questi ultimi sembrano più spessi degli altri segmenti che formano il carattere. In questi casi bisogna compensare l’effetto ottico riducendo lo spessore delle parti più brevi, come avviene a destra nella figura seguente.
Quando si disegnano lettere con segmenti raccordati con una curva a raggio stretto, i tratti dritti vanno leggermente curvati sia all’interno sia all’esterno per evitare il fenomeno conosciuto come bone effect (effetto osso): i segmenti, nonostante siano retti, appaiono curvati verso il centro, come si può osservare a sinistra nella figura seguente.
Nelle lettere che hanno punti di raccordo tra aste oblique e aste verticali, o solo tra aste oblique (come la A, la K, la M, la N, la V, la W, la X e la Y) bisogna eseguire la correzione ottica chiamata ink trap (rastremazione): in corrispondenza dei punti di intersezione va ridotto lo spessore dei tratti obliqui per evitare di ottenere caratteri di spessore geometricamente costante, ma non omogenei come colore.
Le lettere che presentano un solo punto tangente (vertice o curva) alla linea di base o all’allineamento superiore (come la A, la C, la G, la J, la O, la Q, la S, la U, la V e la W) appaiono più basse rispetto alle lettere che toccano l’allineamento con un segmento, come ad esempio la E o la H. Per correggere questo effetto ottico è necessario aumentare di circa il 2% l’altezza delle lettere con un solo punto tangente; ciò vale per ogni allineamento, per cui la O va aumentata del 2% verso l’alto e del 2% verso il basso. Questa correzione viene detta overshoot (sormonto).
Quando si accostano due composizioni di lettere con lo stesso corpo ma differente proporzione o ampiezza orizzontale, quella con i caratteri condensati appare più alta di quella con i caratteri estesi.
Un effetto simile si ha quando si accostano lettere con forza d’asta progressiva: maggiore è il bianco all’interno della lettera, più essa appare alta.
Nelle due situazioni appena descritte è opportuno equilibrare lo scompenso visivo agendo sulle altezze dei caratteri per ottenere una composizione omogenea.
Infine, uno dei problemi tipici di type design riguarda la spaziatura dei caratteri contigui all’interno di un testo, ovvero: come si determina la corretta quantità di spazio che deve vivere fra due lettere o fra due parole? La risposta a questa domanda è stata data nell’articolo Diamo (il giusto) spazio al carattere, al quale rimando per una trattazione approfondita dell’argomento.
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