Condividere responsabilmente
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Condividere responsabilmente

Nel suo ruolo chiave di filtro tra organizzazioni e utenti, il Social Media Manager ha una grande responsabilità. Ma non è l’unico, siamo tutti coinvolti.

I social network sono il contesto privilegiato per la propagazione di contenuti informativi: pubblicazione, condivisione e visibilità sono semplici e immediate. Inoltre, questo tipo di piattaforme permette di investire del denaro per aumentare la portata dei post e di indirizzarli agli utenti più inclini a compiere un’azione specifica. Il Social Media Manager è la figura che si occupa di creare e promuovere i contenuti sui social network stimolando l’interazione delle persone.

Un buon Social Media Manager, curioso com’è, si destreggia nella Rete alla ricerca di informazioni utili per il suo lavoro di elaborazione e diffusione di contenuti che siano di valore. Applica le sue conoscenze di marketing e psicologia della comunicazione per indurre le persone a cliccare su un link, a guardare un video, a leggere un articolo, a condividere un post e altre azioni simili.

Egli conosce le chiavi di lettura del pubblico e sa che deve richiedere meno sforzo possibile ai suoi interlocutori: sa che, di fronte a un contenuto capace di attirare l’attenzione, si innescano inconsapevolmente nelle persone delle scorciatoie cognitive che inducono a formulare considerazioni istintive e immediate e, nel migliore dei casi, a compiere l’azione desiderata.

Data una grande mole di informazioni, come quella che circola su Facebook, il cervello si adopera per ottimizzare le energie mentali necessarie per elaborarle. Questo processo, però, può condurre a errori di valutazione approssimativa: ci rende inclini a ritenere credibile un’informazione in linea con le nostre opinioni, anche se è falsa, piuttosto che una dissonante.

Uno sporco lavoro

Tante organizzazioni, e i Social Media Manager che per esse lavorano, sfruttano le scorciatoie cognitive per produrre deliberatamente e strumentalmente falsità con secondi fini. Si pensi al fenomeno del clickbaiting: un ‘post esca’, fasullo e tendenzioso, è condiviso con l’unico scopo di attirare il maggior numero possibile di visitatori su una pagina web al fine di generare rendite pubblicitarie.

Titoli accattivanti e sensazionalisti spronano a cliccare su un link che si rivela falso e truffaldino. Questi contenuti condivisi in maniera strumentale non hanno alcun fondamento di verità e possono condizionare l’opinione degli utenti più orientati a credervi. Sono proprio loro, infatti, il target preferito di post così concepiti: il Social Media Manager indirizza quel contenuto a chi solitamente clicca su link di questo tipo. Sono molte le organizzazioni che fanno pseudo-informazione in questo modo, e molti addetti ai lavori prestano le proprie competenze rendendosi complici dei rischi sociali che comporta.

L’eco di post tendenziosi può avere effetti disastrosi sulle opinioni collettive.

Non bisogna dimenticare che molte persone oggi si informano solo su Facebook e, sulla base delle informazioni che recepiscono, fanno delle deduzioni approssimative sulla realtà. Non verificano la veridicità dei post, anzi, vi credono incondizionatamente e li condividono con le cerchie di amici favorendone la diffusione a catena. Tali utenti sono esposti continuamente a contenuti pseudo-informativi confezionati in modo tale da farli cascare nella trappola. Più cliccano, più vanno a fondo nella gabbia della disinformazione.

Un Social Media Manager dovrebbe rendersi conto di quanto è rilevante il ruolo che ricopre e non diventare complice di cattiva informazione. Anche quando non ha propositi manipolatori, deve appurare la veridicità delle fonti a cui attinge per la creazione dei suoi contenuti, perché neanch’egli è immune a valutazioni errate. Pur riconoscendo l’influenza esercitata sugli altri, infatti, si tende a sottostimare l’impatto che le scorciatoie cognitive hanno sulle scelte personali.

La complicità degli algoritmi

Nonostante Internet offra molti strumenti per accertare la veridicità di un contenuto e per stanare le menzogne, bisogna tener conto del fatto che gli algoritmi che regolano il funzionamento di piattaforme come Facebook e Google restituiscono a ogni utente i risultati più pertinenti in base alle proprie abitudini online. Dunque, ai contenuti sponsorizzati e specificatamente indirizzati grazie alle tattiche del Social Media Marketing, si aggiungono i contenuti organici proposti dagli algoritmi e mostrati in un elenco personalizzato e su misura.

Da qui, il rischio che alcuni utenti siano sempre meno esposti ad argomenti non in linea con le proprie idee: si riducono drasticamente le occasioni di provare dissonanza cognitiva e si genera una polarizzazione nelle opinioni. In altre parole, si rischia di perdere la consapevolezza di ciò che rimane fuori dal proprio universo informativo e, di conseguenza, di formare un giudizio parziale.

Siamo tutti responsabili

Da utente e da Social Media Manager, ritengo di fondamentale importanza essere consapevoli di come ci approcciamo alle informazioni che riceviamo online. La democratizzazione dei media ci ha resi tutti corresponsabili della diffusione di contenuti, eppure spesso lo facciamo con grande leggerezza e incoscienza. Ma c’è chi è più responsabile di altri, dato il ruolo che ricopre: un esperto di comunicazione ha il dovere etico e morale di educare i suoi interlocutori attraverso un lavoro preciso e accurato.

I Social Media Manager e i comunicatori in generale hanno una grande responsabilità nei confronti di un pubblico che ha bisogno di approfondire e riflettere. Dal canto loro, gli utenti devono tutelarsi accedendo a più informazioni autorevoli prima di farsi un’opinione sulla realtà dei fatti.

Solo di fronte a ciò che si conosce bene ci si può concedere il lusso di smettere di pensare.

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