Essere positivi ci rende più creativi e flessibili, ma poco propensi all'azione. Le nostre capacità affiorano invece se c’è contrasto mentale tra desideri e ostacoli.

Affezione, creatività e concentrazione
La nostra capacità di decidere cosa è giusto fare è direttamente influenzata dalle emozioni. È grazie a esse che riusciamo a pensare in modo più creativo e a trovare le soluzioni migliori.
Usando solo la ragione si potrebbe pensare che i processi decisionali siano guidati principalmente dal raziocinio e che avvengano, quindi, a livello conscio. Moderne ricerche hanno invece dimostrato che il sistema affettivo – non quello cognitivo – è responsabile in larga parte delle decisioni che prendiamo ogni giorno, agendo il più delle volte sotto il livello di coscienza.
L’affezione è un sistema di giudizio che ci aiuta a stabilire rapidamente ciò che è buono o cattivo, sicuro o pericoloso nell’ambiente in cui viviamo; in altre parole, ha il compito di esprimere giudizi di valore per sopravvivere al meglio. Lavora in coppia con il raziocinio – si influenzano a vicenda – nel gestire, interpretare e dare senso alle informazioni che riceviamo dall’esterno. L’affezione è cruciale nelle decisioni quotidiane perché consente di ridurre il numero di elementi da prendere in considerazione e che poi saranno processati dal sistema cognitivo.
Nel sistema affettivo rientrano le emozioni. L’emozione è l’esperienza cosciente dell’affezione, completa degli attributi per identificarne la causa e l’oggetto. Per esempio, quando ci troviamo a disagio in una certa situazione, la fastidiosa sensazione che avvertiamo, senza saperne il motivo, è affezione; nel momento in cui ne comprendiamo la ragione precisa diventa emozione, come rabbia, tristezza, delusione, vergogna e così via.
In base al tipo di situazione che affrontiamo, l’affezione, e quindi l’emozione, può essere positiva o negativa. Conoscerne gli effetti risulta molto vantaggioso, soprattutto nei contesti di lavoro creativi o design-oriented, nei quali il processo produttivo prevede due fasi principali: la prima, in cui avviene la generazione delle idee utili a individuare la soluzione del problema, e la seconda, caratterizzata da uno sforzo di concentrazione teso a metterla in pratica. In questi casi, le emozioni positive sono importanti quanto quelle negative poiché, essendo entrambe strettamente legate al comportamento, preparano il corpo a rispondere in maniera diversa agli stimoli provenienti dall’ambiente.
Per favorire il pensiero creativo, indispensabile durante la prima fase del processo, è importante produrre uno stato di affezione positiva. Le emozioni positive, infatti, eccitano la curiosità, stimolano la creatività e trasformano il cervello in un efficace organo di apprendimento. Quando ci troviamo in uno stato di affezione positiva, l’operatività del cervello si amplia, i muscoli si rilassano, siamo assai meno concentrati e molto più pronti a esaminare le molteplici possibilità a nostra disposizione e a valutare qualsiasi idea o evento nuovo. Un ambiente di lavoro in cui contano la creatività e l’immaginazione richiede, dunque, la creazione di un contesto nel quale le persone si sentano bene, rilassate e contente, una condizione in grado di espandere i processi intellettivi e facilitare l’uso di approcci alternativi alla risoluzione dei problemi.
Una volta terminata la fase creativa, è necessario trasformare le idee generate in soluzioni concrete. A questo punto è richiesta la massima concentrazione, che si ottiene inducendo uno stato di affezione negativa. Le emozioni negative focalizzano l’operatività del cervello, il che ci spinge a concentrarci su un problema specifico, senza distrazioni, per poi andare sempre più a fondo nei dettagli fino a raggiungere una soluzione. Per ottenere uno stato di affezione negativa è sufficiente introdurre un piccolo elemento di tensione, come ad esempio imporre una scadenza precisa e a breve termine per svolgere il compito.
È importante, però, non causare un eccessivo livello di tensione sul lavoro, altrimenti si corre il rischio di incappare nel fenomeno noto come “visione da tunnel”: ci si fissa a tal punto sui dettagli del problema da non riuscire più a coglierne gli aspetti globali e, se l’approccio utilizzato non porta alla soluzione, si continuerà a insistere inutilmente, perdendo la capacità di vedere alternative migliori altrimenti ovvie e di prendere le giuste decisioni.
Bibliografia di riferimento: Donald A. Norman – Emotional design. Perché amiamo (o odiamo) gli oggetti della vita quotidiana, Apogeo, 2004
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