Sfidare l’equilibrio della mente
Comunicazione \ Design \

Sfidare l’equilibrio della mente

Il segreto per rendere interessante e memorabile un messaggio? Tenere il destinatario costantemente sul filo della comunicazione. Ma attenti a non cadere!

Minimo sforzo, massima resa? Non proprio

Il nostro cervello funziona a risparmio energetico: di fronte a un problema, punta a ottenere il risultato migliore impegnandosi il meno possibile. Lo fa per conservare energie e risorse da destinare a cose più importanti e allo svolgimento di compiti futuri. È un sistema che tende all’equilibrio, nel senso che ogni volta che si genera una tensione psichica dovuta a un’azione da eseguire, questa crea una lacuna nei pensieri che chiede di essere colmata; una volta risolta la tensione, la mente torna in equilibrio.

Ci sono numerosi esperimenti che dimostrano come un problema non risolto provochi nelle persone una tensione che persiste finché non viene equilibrata. Tra i tanti ne cito uno, condotto dallo psicologo tedesco Kurt Lewin a Berlino negli anni ’30. Ad alcuni soggetti fu chiesto di risolvere una serie di problemi di difficoltà e di interesse pressoché uguali. Si permise loro, però, di risolverne completamente solo una parte, mentre l’elaborazione degli altri venne interrotta a metà strada. Il numero dei problemi terminati era identico a quello dei problemi non risolti. In seguito, i soggetti vennero invitati a riprodurre per iscritto, a memoria, tutti i problemi proposti. Si osservò che ricordavano molto di più quei problemi la cui elaborazione era stata interrotta rispetto a quelli che avevano potuto portare a termine.

Come mai? Il primo passo per risolvere un problema consiste nel rappresentarlo mentalmente; per farlo, il cervello impiega delle risorse che rilascia solo dopo aver ultimato il compito. La mancata risoluzione del problema mantiene viva la rappresentazione e per questo i compiti non terminati vengono ricordati meglio di quelli completati. La differenza tra compiti ricordati e non ricordati, dovuta alla mancata risoluzione e viceversa, si attenua progressivamente con il passare del tempo, cioè la tensione psichica generata si affievolisce gradualmente.

Perché tutto questo è importante nell’ambito della comunicazione visiva e verbale?

Tensione comunicativa ed equilibrio dinamico

Quando comunichiamo, cosa rende interessante e memorabile il nostro messaggio per chi lo riceve? È un po’ quello che succede in un numero di prestigio: da un lato c’è l’illusionista che vuole incuriosire, coinvolgere e stupire, dall’altro il pubblico che cerca in tutti i modi di capire il trucco (ma è davvero questo che vuole?). Lo spettacolo riesce e il pubblico resta soddisfatto se il trucco non è evidente, altrimenti il numero risulta banale e addio applausi.

Per la comunicazione visiva e verbale vale la stessa cosa. Il messaggio deve essere capace di stimolare il pubblico, di renderlo partecipe, di farlo dubitare quel tanto che basta. Deve creare uno stato di tensione – psicopercettiva o psicoculturale – che susciti interesse. Se si rivela in modo palese e scontato, la mente del destinatario torna subito all’equilibrio e la comunicazione diventa inefficace. Al contrario, deve sedurre e coinvolgere, far sì che le persone si pongano delle domande e abbiano voglia di capire. Solo così è possibile far vivere l’atto comunicativo come esperienza.

La tensione comunicativa è la chiave per sfidare l’equilibrio della mente, mantenere viva l’attenzione e favorire la memorizzazione.

Come discusso, l’equilibrio è lo stato che il cervello desidera raggiungere, ma se ciò avviene troppo in fretta la comunicazione risulta statica, inerte, incapace di imprimersi nella memoria. L’equilibrio va raggiunto, ma attraverso la partecipazione attiva del destinatario nel dare senso al messaggio, spingendolo a svolgere un lavoro creativo che lo porti a scoprire nuovi significati. È quello che si chiama equilibrio dinamico, una forma di quiete in movimento alimentata da una costante tensione psichica.

Nella comunicazione verbale questo risultato si può conseguire in vari modi agendo sui diversi elementi che compongono il testo o la conversazione. Le principali strategie che è possibile utilizzare sono quelle che derivano dai modelli linguistici del Milton Model, tra cui la cancellazione e l’ambiguità. Attraverso questi espedienti si può creare tensione comunicativa rimanendo astutamente sul vago, lasciando a chi ascolta o legge il compito di riempire le “lacune” del messaggio facendo ricorso alle proprie esperienze personali. Questo modo di comunicare è in grado di catturare l’immaginazione del destinatario perché gli richiede di completare il messaggio, esaminando il proprio passato, le proprie convinzioni e la propria comprensione del mondo. Un altro metodo consiste nel porre domande – ad esempio nei titoli, nei claim pubblicitari, nei payoff, alla fine di un testo – perché causano scompensi nella mente che chiedono di essere riequilibrati attraverso la ricerca delle risposte.

Il concetto di equilibrio dinamico è ancora più evidente nella comunicazione visiva se si esaminano le caratteristiche di tutte quelle composizioni che si possono definire “interessanti”. In queste, la qualità vitale dell’immagine è determinata proprio dalla tensione tra forze spaziali le quali, incontrandosi e opponendosi, generano un movimento virtuale che disintegra la struttura bidimensionale della composizione. Questo dinamismo spinge a individuare rapporti spaziali sempre nuovi e quindi a cogliere nuove configurazioni significanti. Facendo partecipare l’osservatore alla costruzione dello spazio percettivo, l’immagine perde il carattere di immobilità e inerzia e diventa esperienza visiva. Una volta acquisite le nozioni di tensione ed equilibrio dinamico, realizzare composizioni interessanti è solo questione di creatività. Tra i metodi grafici utili a favorire il processo ci sono: la chiusura, la latenza, il ritmo, l’asimmetria, lo spazio negativo, la reversibilità figura-sfondo.

Carico di rottura

La tensione comunicativa deve generare attrazione, non repulsione. Il livello non deve essere né troppo basso, né troppo alto. Se raggiunge il “carico di rottura”, può causare frustrazione e rifiuto da parte del destinatario che rinuncerà a capire il messaggio. Se accade, il filo della comunicazione si spezza.

Prima di tutto occorre considerare il contesto. Esistono settori – come quello istituzionale, giuridico, finanziario, medico – nei quali un approccio “troppo creativo” non è preferibile; in questi casi è meglio un tipo di comunicazione chiara, diretta e completa, che non lasci spazio all’ambiguità o all’interpretazione.

In generale, è sconsigliabile portare all’estremo i toni del messaggio perché, se è vero che deve attirare l’attenzione, non deve però destabilizzare troppo chi lo riceve; nemmeno va reso eccessivamente criptico, in quanto il contenuto informativo deve arrivare integro a destinazione.

Non bisogna mai sacrificare la semplicità per rompere a tutti i costi l’equilibrio; l’aggiunta di inutile complessità non rende migliore o più dinamica la composizione, la complica solamente.

Il caos è sempre da evitare perché, invece di eliminare l’uniformità, non fa altro che provocare un monotono senso di disturbo psicologico.

Se si osservano questi principi, si ottiene una tensione comunicativa positiva che rende il messaggio forte, incisivo e più difficile da dimenticare.

Punti di vista

E tu cosa ne pensi?