Da sempre il marketing si avvale delle scoperte scientifiche per posizionare i prodotti, ma non sempre i messaggi pubblicitari sono del tutto veritieri. Eppure siamo così inclini a crederci. Perché?

Quello che le pubblicità non dicono (ma lasciano intendere)
Tra presupposizioni, implicature, mitigazioni e fallacie, percorrendo la sottile linea che divide la comunicazione persuasiva dalla pubblicità ingannevole.
Quando usiamo il linguaggio, molte delle cose che vogliamo comunicare non le diciamo in modo esplicito, ma le lasciamo intendere ai nostri interlocutori ricorrendo all’utilizzo di sottintesi e informazioni date per scontate. Questo ci permette di ottimizzare la comunicazione: riusciamo a trasmettere messaggi anche molto complessi con un forte risparmio lessicale – fornendo solo i dettagli, le notizie e le indicazioni strettamente necessari – e siamo certi (o almeno speriamo) che gli altri capiranno quello che vogliamo dire basandosi sul contesto, sulle conoscenze condivise e sulle regole della conversazione.
Nella pubblicità si fa un largo uso della comunicazione implicita per veicolare i messaggi in modo strategico. I maggiori vantaggi che ne derivano sono due:
- persuasione: mentre un messaggio esplicito viene compreso direttamente e senza sforzo, un messaggio implicito per essere capito richiede la partecipazione attiva dei destinatari i quali sono chiamati a ricostruirne il contenuto con una serie di passaggi basati su presupposizioni, stereotipi e informazioni fornite; questo rende lo spot molto più persuasivo, interessante e facile da ricordare rispetto a una pubblicità il cui contenuto viene espresso in modo palese e che risulta, di conseguenza, meno coinvolgente;
- deresponsabilizzazione: comunicare qualcosa esplicitamente comporta esporre le proprie idee alla critica del pubblico e costringe chi parla ad assumersi la responsabilità di quanto detto anche quando ciò può risultare scomodo o compromettente; un messaggio sottinteso, invece, non è facilmente opinabile o direttamente discutibile e questo aspetto può essere sfruttato per far passare implicitamente determinate informazioni o per inserire nella discussione in modo indiretto questioni da cui prendere le distanze se necessario.
Le principali strategie legate all’uso dell’implicito nella comunicazione pubblicitaria riguardano le presupposizioni – ciò che viene dato per scontato – e le implicature – ciò che viene lasciato intendere. Questi due elementi del linguaggio possono essere utilizzati sia per sedurre chi ascolta (persuasione) sia per tutelare chi parla (deresponsabilizzazione).
Presupposizioni
La presupposizione è un meccanismo linguistico che consente di usare il linguaggio in maniera economica. Consiste in un’informazione implicita, contenuta in una frase, che è data per scontata perché la frase stessa abbia senso. Permette di non affermare esplicitamente qualcosa presentandolo già in modo implicito come oggetto di accordo o condiviso con il destinatario del messaggio.
Le presupposizioni costituiscono lo sfondo comune di una conversazione alla quale gli interlocutori partecipano apportando il proprio contributo derivato dalle informazioni date per conosciute e accettate da tutti. Sono molto utilizzate in pubblicità perché rappresentano uno dei metodi più efficaci per persuadere e spingere il comportamento delle persone in una certa direzione. Vediamo un esempio.
Nel 2014 Opel lancia una serie di spot con la modella tedesca Claudia Schiffer come testimonial la quale, al termine di ciascuno di essi, esclama riferendosi all’auto: “È una tedesca!”
In questo caso l’informazione implicita, che viene data per scontata, è che i prodotti tedeschi sono i più affidabili sul mercato.
In altre situazioni la potenza persuasiva delle presupposizioni viene sfruttata con una sottile forma di inganno: dare qualcosa per presupposto, comunicandolo di nascosto, significa sottrarlo alla discussione e renderlo più facilmente accettabile anche se ciò che si presuppone è falso.
Implicature
Il termine “implicatura” è stato utilizzato per la prima volta dal filosofo inglese Paul H. Grice nell’articolo Logic and Conversation del 1975, al quale rimando per approfondimenti. Secondo l’autore l’implicatura è un’informazione che viene comunicata in modo implicito sulla base di ciò che viene detto esplicitamente e su quanto viene presupposto in una conversazione. Grice distingue tra ciò che si dice alla lettera e ciò che si lascia intendere; ciò che si lascia intendere lo si ricava per implicazione da quanto si dice alla lettera. In parole povere, è ciò che lasciamo intendere agli altri con quello che diciamo.
L’uso delle implicature nella comunicazione pubblicitaria è molto vantaggioso per diversi motivi:
- come le presupposizioni, possono servire per economizzare l’informazione (esprimere molto con poco);
- sono altamente persuasive e coinvolgenti in quanto inducono il ricevente a recuperare il messaggio, anziché imporglielo apertamente, e ad arricchirlo con il proprio universo di conoscenze;
- sono cancellabili.
La cancellabilità è una proprietà interessante di alcuni tipi di implicature che consiste nella possibilità di negare ciò che si è voluto intendere, non quello che si è detto. La differenza è fondamentale. Negare qualcosa che abbiamo detto, ritirandolo esplicitamente o sostenendo di non averlo detto, ci costringe ad ammettere di aver sbagliato oppure ci fa cadere in contraddizione; in entrambi i casi corriamo il rischio di fare una pessima figura e di compromettere la nostra immagine. Se invece comunichiamo qualcosa tramite un’implicatura, possiamo legittimamente cancellare il messaggio a posteriori tutelandoci da conseguenze spiacevoli.
Grazie alla cancellabilità è possibile introdurre una tesi o un’idea all’interno del discorso per poi prenderne in seguito le distanze, deresponsabilizzandosi, nel caso in cui il messaggio venga interpretato dai consumatori (o dall’Antitrust) come sconveniente o ingannevole.
Vediamo alcuni esempi di implicature.
Quando leggiamo promozioni tipo “Sconti fino al 70%” siamo in presenza di un’implicatura scalare.
Come funziona? La pubblicità fa leva sulle aspettative nutrite dai clienti di poter acquistare articoli a prezzi molto convenienti. Implicitamente, però, il messaggio lascia intendere che solo alcuni prodotti sono scontati al 70%, ma non tutti, di fatto potrebbe essere anche uno soltanto, ciò nonostante il negozio riesce a tutelarsi nei confronti del pubblico.
Lo spot dello yogurt Danacol di Danone del 2007 afferma che, assunto uno al giorno, “riduce il colesterolo fino al 10% in tre settimane”, lasciando intendere che abbia un’indicazione terapeutica ipocolesterolizzante, quando tutte le terapie per ridurre il colesterolo richiedono l’obbligo di prescrizione medica.
L’Antitrust ha censurato la pubblicità ritenendola ingannevole perché lascia credere che lo yogurt sia un prodotto approvato direttamente o indirettamente dalla classe medica avvalorando le proprietà terapeutiche. Come si poteva evitare? Utilizzando la mitigazione.
Mitigazione
Ciò che diciamo e il modo in cui lo diciamo variano a seconda del contesto in cui ci troviamo, incidono sulla percezione che gli altri hanno di noi e determinano la distanza emotiva tra noi e i nostri interlocutori. Questo aspetto, se da un lato spesso può dare adito a fraintendimenti, dall’altro può essere sfruttato sapientemente per produrre una comunicazione interessante e persuasiva.
La mitigazione è un valido espediente per controllare quello che diciamo ed evitare effetti negativi nei nostri scambi comunicativi. È l’insieme di tutte quelle strategie utilizzate dai parlanti per ridurre i rischi interazionali e per deresponsabilizzarsi rispetto a ciò che si dice.
Esistono diversi tipi di mitigatori, in genere utilizzati per stemperare il contenuto di un enunciato, per disimpegnarsi dall’azione che si compie, per attenuare la propria responsabilità o per non compromettersi più del dovuto. Un esempio è la vaghezza, cioè l’uso di espressioni che non possiedono un significato facilmente precisabile (“in qualche modo”, “più o meno”, “mucchio”, “alto”, “ricco”, “giovane”, “rapidamente”, “chiaramente”, ecc.), come avviene nella frase “Costa circa 1000 euro”. Oppure l’uso del futuro epistemico e del modo ipotetico, che troviamo in frasi quali “È caduto il vaso, sarà stato il vento” e “Ti chiederei di uscire dalla stanza”. O ancora espressioni del tipo “Si dice che le moto giapponesi sono le migliori”.
In pubblicità si ricorre alla mitigazione in tutte quelle circostanze in cui una certa affermazione può avere innanzitutto ricadute sul piano legale. Facciamo un esempio.
Lo spot del dentifricio AZ Pro Expert del 2013, tra le varie qualità del prodotto, esalta la sua capacità di aiutare a prevenire e ridurre i problemi gengivali in quattro settimane, ma non fa ricadere la responsabilità di questa affermazione (compromettente dal punto di vista legale) direttamente sull’azienda, come nel caso di Danone, bensì utilizza una strategia di mitigazione molto frequente e al tempo stesso efficace: la voce fuori campo per la precisione afferma che “È clinicamente dimostrato che AZ Pro Expert aiuta a prevenire e ridurre i problemi gengivali in quattro settimane”; in tal modo chi parla si tutela spostando la responsabilità comunicativa su qualcun altro, qualcuno di autorevole: i test clinici.
Fallacie
Le fallacie sono tipi di ragionamento non validi, e in molti casi ingannevoli, ma che appaiono plausibili e convincenti. Sono spesso utilizzate in diverse forme di comunicazione strategica, come quella pubblicitaria, per la loro elevata capacità persuasiva. Si distinguono in formali e informali.
Le fallacie formali sono quegli schemi di ragionamento in cui l’errore risiede nella relazione logica tra le premesse e la conclusione, a prescindere, quindi, dal loro contenuto. Le fallacie formali appaiono convincenti e persuasive per via del fatto che spesso assomigliano a forme di ragionamento valide come, ad esempio, il Modus ponens e il Modus tollens. Vediamo un esempio.
Lo spot dell’anticalcare Calfort mostra una lavatrice danneggiata dal calcare; il tecnico, rivolgendosi alla casalinga, domanda: “Ma lei, signora, che anticalcare usa?”, la signora risponde: “Uno economico” e il tecnico replica dicendo: “Il calcare è un problema serio! Per questo le consiglio di usare sempre Calfort!”.
Questa pubblicità è un esempio di fallacia della negazione dell’antecedente il cui schema funziona così:
se usi Calfort allora hai le tubature pulite
da cui segue
non usi Calfort allora non hai le tubature pulite.
Si tratta di un ragionamento non valido poiché la conclusione non segue dalle premesse: il calcare della lavatrice, infatti, potrebbe essere dovuto a molte altre cause rispetto al semplice fatto di non aver utilizzato uno specifico prodotto anticalcare.
Le fallacie informali, invece, sono ragionamenti non corretti che sfruttano tecniche retoriche o altre caratteristiche del linguaggio per trarre in inganno. Nelle fallacie informali, in particolare, l’errore di ragionamento va ricercato per lo più nel contenuto delle premesse e nella conclusione. Facciamo qualche esempio.
In una nota pubblicità comparativa della Procter & Gamble del 2013, sanzionata dall’Antitrust perché giudicata ingannevole, il detersivo Dash viene presentato come più conveniente rispetto al principale concorrente (Dixan). Lo spot lascia intendere che o scegli Dash e risparmi un terzo rispetto al principale concorrente, o scegli la concorrenza e spendi un terzo in più.
Si tratta di una delle tecniche più sfruttate nella comunicazione pubblicitaria, definita fallacia del falso dilemma o dilemma del venditore: si verifica quando, discutendo di un problema, vengono presentate due alternative come se fossero le uniche opzioni possibili, mentre in realtà ve ne sono molte altre non contemplate.
La pubblicità dello shampoo Head & Shoulders del 2017 vede come testimonial il portiere della nazionale italiana di calcio Gianluigi Buffon. Nello spot lo si sente affermare che il prodotto combatte prurito, forfora e capelli grassi.
Ci troviamo di fronte a una fallacia di rilevanza ad verecundiam: la verità della tesi viene sostenuta facendo appello a un’autorità del tutto irrilevante rispetto a ciò che si vuole sostenere; Buffon, infatti, è noto per le sue doti sportive e non certo per la sua competenza nell’ambito della cosmetica.
Le pubblicità dei medicinali, in genere, presentano la fallacia dell’accento che si ha quando viene posto un accento particolare sugli aspetti accattivanti del messaggio (ad esempio “Riduce il dolore mentre combatte l’infiammazione”), mentre altre informazioni potenzialmente dannose vengono veicolate in sordina (come la frase “È un medicinale che può avere effetti collaterali anche gravi”).
In questo articolo ho presentato solo alcuni casi di utilizzo della comunicazione implicita nel campo della pubblicità. Ne esistono tantissimi altri, facilmente riscontrabili negli spot che vediamo tutti i giorni in TV, che tentano di coinvolgerci, di convincerci e, in alcuni casi, di raggirarci. Il confine che separa un messaggio persuasivo da uno ingannevole è sottile ed è segnato, come sempre, dalla volontà di comunicare in modo etico, onesto e rispettoso nei confronti dei consumatori.
Punti di vista