Perché imitiamo gli altri? I rischi della riprova sociale
Marketing \

Perché imitiamo gli altri? I rischi della riprova sociale

È nella natura umana seguire il gruppo, ritenere più giuste alcune azioni se svolte anche dai nostri amici: questa attitudine è una potente arma di persuasione al servizio delle aziende. Ma attenzione ai suoi effetti.

La capacità di attrazione della folla può essere diabolicamente potente.

Agire per imitazione, conformarsi al gruppo, aggregarsi sono azioni istintive che accompagnano la storia evolutiva dell’uomo: un pericolo esterno è l’evento che più di qualunque altro produce nella parte limbica del cervello emozioni legate al senso di appartenenza alla comunità. All’interno del branco il singolo si sente al sicuro. Nonostante oggi vengano meno le esigenze di sopravvivenza, le reazioni inconsce che regolano molte delle nostre azioni continuano ad alimentare la tendenza ad adattarsi al comportamento del gruppo.

“Centomila persone insieme vogliono quello che, individualmente, non vorrebbero mai.” – Roberto Gervaso

Un’azione risulta più adeguata quando è compiuta da altre persone, soprattutto se le conosciamo o se ci identifichiamo in loro. Si chiama social proof, o riprova sociale, quella a cui una strategia di Web Marketing non può sottrarsi. I suoi meccanismi sono alla base di molte attività per la crescita del business, come il Social Media Marketing che agisce nelle reti sociali, dove è molto facile entrare in risonanza con amici, conoscenti o idoli, e imitarli. Ma anche in altre azioni di marketing la riprova sociale diventa strumento di persuasione: influenzare le persone con i comportamenti altrui è un percorso che si snoda su più strade. Ma piuttosto che intraprendere le possibili vie, vediamo quali condizioni favoriscono la riprova sociale per imparare a gestirla e a prevenirne i rischi, sia come individui che come professionisti del marketing.

Perché si verifica la riprova sociale?

Nel libro Le armi della persuasione lo psicologo americano Robert B. Cialdini annovera la social proof tra i sei strumenti di persuasione più potenti. Quanto maggiore è il numero di persone che trova giusta una qualunque idea, tanto più giusta è quell’idea: la riprova sociale per Cialdini è la tendenza delle persone a considerare un’azione più adeguata quando la fanno anche gli altri. Questo libro offre una disamina precisa sulle dinamiche della riprova sociale legate a due condizioni che ne determinano il funzionamento: incertezza e somiglianza.

L’incertezza si verifica quando la persona è dubbiosa o vive una situazione ambigua. In questo caso è molto più facile guardare cosa fanno gli altri e prendere per buono il loro comportamento. Una decisione individuale, infatti, richiederebbe uno sforzo e un processo diverso, per cui l’imitazione risulta anche più comoda, in qualche modo una scorciatoia. Ne consegue il rischio di apatia e di ignoranza collettiva. In un caso estremo (Cialdini riporta l’esempio di una persona colta da un malore per strada di cui i passanti non si curano) tutti stanno a guardare aspettando che gli altri agiscano, ma ognuno in quel momento cerca la riprova sociale negli altri, per cui si genera una situazione completamente passiva.

La seconda condizione, la somiglianza, è invece ciò che spinge la persona a osservare il comportamento dei simili e ad adottarlo. Più sono uguali a noi le persone che stanno compiendo una determinata azione, più saremo portati a fare lo stesso, a prendere per giusto il loro modo di agire. È più facile e istintivo lasciarsi guidare da una persona che ci somiglia. Ma per quanto uguali o vicine siano le altre persone, ciò che fanno è corretto anche per noi?

Gestire la riprova sociale: dalla mandria di bisonti allo sciame di api

Il comportamento degli altri, soprattutto in caso di incertezza, può indirizzarci verso una decisione corretta, altre volte invece può risultare del tutto sbagliato. Questo è il primo rischio della riprova sociale: un errore può mettere in moto un processo a valanga e sfociare nell’ignoranza collettiva. Cialdini usa l’esempio dei bisonti per spiegare come la persona può difendersi. Le tribù indiane adottano una strategia particolare per cacciare i bisonti; indirizzano la mandria verso un burrone e la fanno precipitare in massa. Ciò accade perché il bisonte ha gli occhi posti lateralmente e corre sempre a testa bassa, è quindi vulnerabile nei confronti del gruppo e raccoglie solo l’informazione circostante senza mai guardarsi intorno. Il bisonte, correndo, segue gli altri ma non percepisce cosa c’è all’orizzonte.

L’effetto gregge è un istinto innato che risponde al senso di aggregazione delle persone, ma non alzare la testa mentre si segue la massa, ci porta a perdere la capacità di approfondire, di comprendere, di interpretare le informazioni, a dimenticare la nostra individualità.

“L’uomo non è destinato a far parte di un gregge come un animale domestico, ma di un alveare come le api.” – Emmanuel Kant

L’alveare è un ambiente affascinante, dalla complessa organizzazione sociale. La divisione del lavoro altamente differenziata comporta uno scambio di informazioni continuo: le api hanno un elevato grado di autonomia e in questo senso sono, tra gli insetti, i più vicini all’uomo. Le api lavorano in gruppo, nell’interesse di una colonia e per il benessere generale, ma sono sempre vigili su ciò che accade.

Come l’ape l’uomo deve saper guardare: stare nel gruppo, imitarne i comportamenti e cercare soluzioni al suo interno sono azioni che avvengono sotto la spinta del bisogno di aggregazione, ma il senso di appartenenza alla comunità deve essere sempre in equilibrio con l’individualità. Perché la riprova sociale non è un fenomeno del web, ma un’attitudine dell’uomo.

Dalle persone alle aziende: usare la riprova sociale con etica

L’altro rischio della riprova sociale è legato all’errore indotto: i dati possono essere falsati volontariamente da chi vuole che assumiamo un determinato comportamento. È il caso di chi fa uso di manipolazione nelle attività di marketing. L’uomo tende a essere un risparmiatore di energie; trae conclusioni da un minimo di informazioni e dà risposte sulla base di pochi dati visualizzati. Così chi si occupa di persuasione, forte di questa abitudine cognitiva, può procedere con segnali parziali e ambigui per condurre i destinatari verso azioni o decisioni sbagliate.

La riprova sociale invece diventa “etica” quando è legata a informazioni giuste: ricorrere a stratagemmi poco credibili o a dati contraffatti è controproducente per le persone, ma lo diventa anche per l’azienda che opera una strategia ingannevole. Se, ad esempio, un’azienda fa uso sul suo sito web delle testimonianze dei clienti, è bene che queste siano veritiere e che appartengano a persone reali. Stessa cosa se inserisce indicatori numerici riguardanti il numero di azioni compiute su un determinato contenuto: vedere che un articolo è stato condiviso migliaia di volte induce quantomeno a leggerlo, ma se il dato funge solo da calamita, è falsato e il contenuto è deludente, ne va della credibilità dell’azienda. Per questo sui social, a differenza dei canali di proprietà dell’azienda, la riprova sociale ha maggior effetto; perché ciò che leggiamo e vediamo è scritto da persone comuni, che conosciamo o nelle quali ci identifichiamo. Per l’azienda attenta alle persone la riprova sociale si rivela una valida arma di persuasione.

Come marketer credo che comprendere i meccanismi di questo fenomeno e gli effetti che ha sulle persone, aiuti a restare sulla strada di un marketing etico, che si avvale della riprova sociale per valorizzare l’individualità e soddisfare i veri desideri del singolo.

Come persona invece penso che nessuno sia immune al potere della folla. Non agisco per imitazione, ma fino a che punto posso essere certa di non averlo mai fatto? In fondo il principio di riprova sociale ci dice proprio questo: più siamo convinti di prendere liberamente le nostre decisioni, più il mondo intorno ci invia suggerimenti.

Punti di vista

E tu cosa ne pensi?